Feste dell’arci, della mcl, delle acli, del santi patrono e matrona, della madonna, della croce verde, bianca, rossa, azzurra, della misericordia, del circolo, dell’estate, del partito, del rione, della contrada e del borgo, feste storiche ed allegoriche, di auspicio e di ringraziamento, feste sacre e feste profane.
La mia città è ricca di questi eventi: iniziano a giugno, ed è una attesa spasmodica dopo l’inverno, e finiscono a ottobre che non se può più.
Ogni borgo, quartiere, paese e condominio ha una sua festa, loro, i miei amici, vanno a vederle tutte, e ad assaggiare tutte le frittelle e i necci e le frappole, le sgnaccole, le polpette, le criccole e i bigattini e i ventricini e i migliacci e i noferini e i nocentini e i lapislazzuli, tutti i deliziosi troiai tipici che le massaie e i gioviali cuochi di quel posto lì dove fanno la festa mettono allegramente sulle bancarelle come se fosse un gioco.
Per buttar giù tutto questo malloppo bevono in gran quantità acqua minerale, al massimo spuma bionda, perché sono sobri e risparmiosi, tutto si potrà dire di loro, ma non che si ubriacano.
Ma più di tutti sono attratti dall’odore del fritto dei bomboloni
I bomboloni brontolano borbottando in padella: “mas fuego, mas calor, hombre !” gridano (i bomboloni sono di madrelingua spagnola). Vogliono friggere e odorar di zucchero e cannella, vogliono andar sul piatto a fare mostra di sé per qualche istante prima che una mano rapace gli afferri.
Breve vita quella del bombolone, ma ricca di soddisfazioni: il morbido impasto di dolce farina e burro, lo zucchero zuccheroso, le mani affettuose che amalgamano con fiducia, il calore dell’olio bollente, come un bagno di sole d’agosto e poi il refrigerio del mestolo forato, l’aria fresca della sera della festa e un’ultima pioggia di zucchero a velo.
Vita di passione dolce e dedizione al palato dei ballerini che sostano per uno spuntino tra una mazurca e un tango. Lui fa la fila alla cassa, lei aspetta fiduciosa al tavolo di plastica bianca e intanto discorre con le compagne guardando distrattamente la pista.
E’ come un pit stop, un rifornimento di carboidrati per ripartire con nuovo vigore, bisogna pure smaltire la bomba energetica e non aver rimorsi di stomaco a dribblare ernie iatali.
Loro, i miei compari, si fanno chilometri ogni sera annusando l’aria tiepida d’estate ad intercettare l’odore dolciastro della friggitrice, poi si fiondano in questi posti sperduti tra vivai e inceneritori e prendono disordinatamente posto.
Sconto comitiva per venti, trenta, quaranta, non si sa quanti sono i miei compagni; occupano mezza festa da soli spostando a riunire tavoli e sedie, panche e sgabelli, poi, posati i golfini sulle spalliere, si lanciano in pista con frenesia per non perder cacciata di ballo, che sia latino o romagnolo, e via, con la notte a disposizione.
Finisce che all’una del mattino l’orchestra smonta e i volontari della sagra, ci sono sempre volontari nelle sagre, rassettano e spazzano la pista, si spengono i riflettori, restano solo le lampadine volanti delle rificolone. E loro sono lì tranquilli, finalmente si sono seduti, hanno messo il golfino sulle spalle e iniziano una nuova serata di chiacchiere ad alta voce per commentare il ballo di oggi e progettare quello di domani, perché domani, è ovvio, si ricomincia.
Sono le ferie, ferie forzate di ballerini randagi da una sagra all’altra, giornate d’estate trascorse nell’attesa della sera, del fresco, del fritto e del ballo e di ritrovare i volti conosciuti dei compagni: stessi gusti e stessi gesti.
La passione per il ballo è una scusa, quello che lega è il desiderio di non stare da soli in casa, coppie intristite dall’età e dagli acciacchi che si infiammano per uno squarcio di giovinezza che, inatteso, riporta magicamente indietro il tempo delle emozioni.
Dicono: “cosa si fa domani sera?” e questa frase raccoglie la consapevolezza di non esser soli, l’entusiasmo di rivivere la frenesia e la libertà dei vent’anni, anche allora si diceva “cosa si fa domani ?” ed era un vero domani.
Oggi è solo oggi, stasera, questa festa, adesso! Domani è lontano, ed è quello che in fondo sanno tutti.
Sono teneri i miei compagni, vivono alla giornata come fosse una eternità, prendono la compagnia come una famiglia, credono ancora al futuro, sono gelosi l’uno dell’altro come ragazzi, stanno attenti ad ogni piccolo gesto di simpatia, a una parola in più o in meno, ad ogni sguardo, come non avessero già vissuto una vita intera spesso difficile. Riassaporano l’ingenuità dei sentimenti e la fragilità emotiva degli adolescenti.
Ogni tanto mi associo, mi unisco alle loro serate randagie per feste e fiere, mi lascio prendere e coinvolgere da questa tenera nostalgia fatta di amicizia, cameratismo e progetti irrealizzabili, per qualche momento dimentico gli anni e i guai.
Più tardi, molto più tardi, a letto, quando spengo la luce, ripenso un poco alla festa, al ballo e ai bomboloni, poi, non so spiegare perché, sopraggiunge la malinconia.