“Godiamocela oggi perché stanotte sono cazzi acidi” . Si dissero al risveglio.
C’era da andare a prendere il pulman della Toxo Travel, i viaggi dei tossici, al punto de encuentro in piazza Galicia davanti al Banco Santander.
Furono precisi e puntuali, ma non abbastanza svelti da salire sopra e catturare i posti migliori che andarono a una coppia di pellegrini canadesi agguerritissimi e poi nell’ordine a quattro brasiliani, due tedeschi, dodici coreani e un’argentina che era sola e quindi per definizione poteva anche starci se soltanto ci avessero provato. Loro salirono per ultimi e beccarono i posti in fondo, solo l’argentina si posizionò più indietro. Ma non accadde nulla.
La guida si chiamava, anzi si chiama ancora, Ramon, come Ramon Rojo quello che diceva “Quando l’uomo con il fucile incontra l’uomo con la pistola, l’uomo con la pistola è un uomo morto” e che invece fu impallinato da Joe lo straniero, nella fattispecie il mitico Clint Eastwood.
Il buon Ramon non aveva il fucile ma una fervida parlantina tramite la quale raccontava di tutto un po’ sulla gita in quattro lingue quasi contemporaneamente perché ogni tanto mischiava. Praticamente si faceva capire da tutto il pulman ad eccezione dei coreani che però avevano un’applicazione mostruosa sul cellulare che traduceva simultaneamente nella loro lingua esotica ed esosa.
“Manco qui ci leviamo di torno i cinesi – disse un omarello polemico – Sono proprio infestanti” “Non sono cinesi sono coreani ” rispose un altro
“E che differenza c’è ? sempre gialli e brutti sono”
“Razzista !”
“Razzista una sega, un se ne pole più ! anche da noi …..”
“E basta coi cinesi !”
“E farò basta … ma tanto loro ci sono lo stesso !”
Partirono e Ramon spiegò bene tutto quello che si vedeva fuori dal finestrino come la costa de la muerte dove le navi andavano a naufragare e ci morivano un sacco di marinai e il parco di pale eoliche più vasto del mondo, o forse d’Europa, o della Spagna, comunque un gran bel parco di pale per quelli a cui piacciono le pale eoliche.
Ci furono delle cose interessanti da vedere quel giorno aldilà delle solite mete turistiche che vi avranno raccontato in mille e che potrete cercare comodamente su Google.
Al chilometro zero, che era quello del cammino di Santiago non quello della frutta e verdura delle bancarelle, c’era un fricchettone come purtroppo non se ne vedono più in giro: alto, magro, biondo con i capelli rasta, vestito di smanicati a colori e calzoni larghi, con i sandali e un po’ di collane e braccialetti distribuiti qua e là. Tutto preso dalla trascendenza se ne stava dritto e soffiava in un corno tibetano, un dungchen di due o tre metri, uno strumento usato nella cultura buddista.
Era perfettamente collocato nell’ambiente circostante con l’oceano atlantico tumultuoso tutto intorno al promontorio, lui in quel mattino grigio, incastonato nell’aria pungente compresa tra il cippo del chilometro zero e il faro, che pompava a pieni polmoni emettendo quel suono lugubre profondo e prolungato che richiama ancestrali riti buddani. A completare il quadro fantastico c’era una ragazza, anche lei vestita come un’hippie degli anni 70, che stava in piedi a braccia aperte, concentrata di fronte a lui, e prendeva il rimbombo del suono del corno proprio in mezzo alle gambe leggermente divaricate, come volesse darsi una rinfrescata alle ovaie o purificare la sua essenza mortale per ascendere a una dimensione più elevata. Era una scena fantastica che ricordava agli omarelli la giovinezza quando cazzate del genere se ne vedevano più spesso anche in provincia.
Naturalmente per tutto il giorno provarono ad imitare con la bocca semichiusa il muggire di quel corno.
Un’altra cosa ganza fu farsi le foto sugli scogli di Finisterre per poter dire a parenti e amici che c’erano stati davvero. Fecero un centinaio di foto in tutte le combinazioni possibili, scacciando gli altri turisti che interferivano col paesaggio come se fossero stati soli al mondo, mettendosi in pose drammatiche, pensierose e plastiche. Con lo sfondo del mare ribollente e il cielo grigio le loro maglie rosse risaltavano perfettamente in contrasto cromatico e ne erano fieri. In verità erano anche molto felici per aver compiuto quella loro camminata fino a Santiago e per essere li insieme, stavano festeggiando dentro.
Poi li portarono a Muxia che si pronuncia Musìa con l’accento sulla “i” famosa per due cose: c’è la barca di pietra con la vela di pietra e il timone di pietra, e li hanno girato la scena finale de “Il Cammino per Santiago” il commovente film di Emilio Estevez con Martin Sheen, quello di Apocalipse Now, che getta nel mare le ceneri del figlio. E il posto è effettivamente suggestivo, anche perché non c’è niente altro che una chiesetta e il mare immenso.
A proposito della barca di pietra: si tratta di un piastrone di granito di 50 tonnellate con un diametro di una decina di metri, a fianco c’è il bel timone anch’esso ovviamente in pietra che è una roccia a forma di non si sa cosa ma potrebbe essere anche la raffigurazione del timone di un’astronave marziana che peserà anch’esso qualche tonnellata. Ma cosa volete che sia tanto poco distante c’è la bella vela latina, di pietra, curva perché le vele al vento notoriamente si incurvano, che peserà anch’essa un 50 tonnellate, e per forza per spingere quel ben di dio e farlo navigare ci voleva un bella superficie velica.
Ora, lasciamo perdere per un momento la fede che è una cosa seria, ma di fronte a questa roba qui neppure Archimede con tutta sua buona volontà avrebbe potuto teorizzare il suo principio “Ogni corpo immerso parzialmente o completamente in un fluido riceve una spinta verticale dal basso verso l’alto, uguale per intensità al peso del volume del fluido spostato”. Per immergere questa barca in pietra ci sarebbe voluto un terremoto primordiale e per farla navigare l’Armageddon. Ma abbiamo detto lasciamo perdere la fede che sposta le montagne e quindi gli fa una sega una barca di granito.
Camarinas è un grazioso paese di pescatori, in estate affollato di turisti che di certo non vengono qui a fare il bagno perché l’acqua dell’oceano è fredda, profonda, sporca e si ritira rapidamente un paio di volte il giorno lasciandoti sul fondale asciutto come un bischero.
Però l’atmosfera è carina e rilassante. Ci sono un sacco di ristoranti e i nostri ne beccarono uno accattivante. Ordinarono tutti contenti quella che sul menu sembrava una succulenta paella e mangiandola dicevano
“Non è un granché questa paella”
“No decisamente non è tanto gustosa”
“Diciamo pure che non sa di nulla”
“Era meglio quella di Santiago”
Dopo pranzo lo dissero anche a Ramon e lui rispose che il quel localino non facevano la paella ma un riso in brodo con lo zafferano. Ecco spiegato il mistero, però il riso in brodo costava quanto una paella.
Intanto era spuntato il sole, proprio in tempo per l’ultima tappa del tour al faro elettrico di Cabo Vilàn e anche qui quel vanesio del ballerino di liscio si fece fotografare in pose artistiche.
La tradizione vuole che i pellegrini compissero tre riti al termine del loro percorso le tre purificazioni:
La purificazione dell’anima pregando sulla tomba del santo nella Cattedrale di Santiago.
La purificazione del corpo lavandosi nell’acqua fredda dell’Oceano Atlantico.
Infine dovevano bruciare gli abiti portati durante il cammino e contemplare il tramonto nel punto più ad Ovest della costa d’Europa, appunto, Finisterre. Questa antica tradizione è stata poi sostituita con il lasciare un indumento personale al termine del viaggio a connotare simbolicamente la fine di un ciclo esistenziale. Perché ho scritto questa cosa? per allungare un po’ il brodo e informarvi su qualcosa di interessante da fare casomai veniste qui.
Poi dovettero tornare a Santiago perché avevano visto tutto quello che c’era da vedere, fatto tutto quello che c’era da fare e bevuto tutte le Estrella che c’erano da bere; la vacanza era proprio finita.
Adesso li aspettava la verifica se i succedanei dei documenti del camminatore avrebbero passato il controllo aeroportuale, poi il volo Santiago – Madrid e la notte all’addiaccio.
C’era da farsi un grosso “in bocca al lupo”.
continua …