Pistoia | |
Quando si balla | |
liscio con disck jockey | |
Prezzo | |
12 euro cena | |
Pista da ballo | |
20 passi x 7 passi | |
Parcheggio | |
Quasi nientee | |
Dove si mangia | |
Si viene per mangiare, il ballo è un extra |
Il posto che non c’è è quello nel quale ci imbattiamo quasi per caso un sabato sera grazie a un passaparola di amici-degli amici-dei conoscenti.
Non ci si arriva tanto facilmente: non ha nome, né indirizzo, né insegna, come fosse un luogo immaginario.
Non è bello il posto che non c’è: perduto tra campi e vivai e strade sterrate senza illuminazione, è squallido nell’architettura di rimessa di attrezzi, spoglio, con arredo da quattro soldi, le luci al neon sono da capannone di lavoro, nella vita precedente può essere stato un deposito, ma anche un‘officina o un cantiere, ma potrebbe esserlo ancora. Non nasce per accogliere le serate degli allegri compagnoni, non è frivolo né pretenzioso come certe sale da ballo e certi circoli c’è del ferro battuto in giro e delle sculture grezze in pietra, opera di fabbro o di apprendista scultore
Nel posto che non c’è si fanno le feste in casa, come quelle della giovinezza, certo, non può esistere questo posto, è solo nella nostra memoria e in ciò che di struggente vogliamo ricordare.
Si viene per mangiare, buona cucina casalinga, buon vino, dolce, caffè ammazzacaffè, bibite a volontà. Si cena su due tavoloni lunghissimi da quaranta cinquanta posti l’uno, come alle sagre, ma attenzione non è una sagra, non ci può venire chiunque, ci si viene solo tramite gli amici-degli amici-dei conoscenti, e poi, una volta stati qui, si diventa conoscenti, e amici degli amici anche noi.
Un tam tam di provincia.
Si fanno le dieci a tavola, poi arrivano le api operaie che sono gli stessi che hanno cucinato e servito i piatti con gentilezza e precisione. Le api laboriose sparecchiano, buttano gli avanzi, smontano e spostano i tavoli ai lati del capannone, accatastano le sedie di plastica, spazzano a terra, insomma trasformano, mutano l’ambiente come un loft d’avanguardia, una scena da teatro di commedia. In dieci minuti, senza tecnologia solo a forza di braccia e gambe si è fatto posto nel mezzo e una pista che non c’era adesso c’è.
E’ stretta e lunga, sette passi per venti, meglio di tanti locali, piastrellata e liscia. Qualcuno sparge talco in un angolo per far scorrere le scarpette da ballo, le luci al neon da officina si spengono e come per magia subentrano poche applique artigianali, il sole e la luna, nuvole in ferro rosso.
Nella penombra tutto assume un nuovo colore, di intimità, qualcuno ricorda ancora quando di spengevano le luci e si ballava al buio cercando il primo contatto con la guancia della ragazza desiderata. Non c’è più bisogno del buio adesso, basta questa luce soffusa che ammorbidisce i profili delle donne e ingentilisce le pancette appesantite degli uomini.
Un affabile signore si piazza dietro una armatura di ferraglia, credevamo fosse un deposito dei attrezzi in disuso ed era invece la consolle. Una vera consolle con casse potenti e profonde e centinaia di cd di tutte le razze e religioni, un cartello scritto col pennarello recita “Sono bene accette le vostre richieste musicali”.
Sono pronti a tutto nel posto che non c’è pur di farci stare a nostro agio. E noi che facciamo? prendiamo possesso !
Prendiamo possesso dell’unico divano presente, delle sedie da giardino appoggiate alle pareti, della pista da ballo, delle musiche, della confusione e delle risate, invadiamo il campo con irruenza e allegria. Si festeggia un compleanno nel posto che non c’è, cantando tutti assieme un “umpa pa zum” di valzer romagnolo ad una imprecisata signora, una alchimia misteriosa si sviluppa tra le note ed i commenti di chi mette i dischi e tra un pezzo e l’altro balla una sottile effervescenza di un dopo cena sobrio e allegro
Siamo a casa di amici, come quarant’anni fa, siamo qui per stupirci di ogni cosa, e quando accade, se accade, basta una battuta, un gesto, una canzone o uno scherzo per ridere senza cinismo e senza età.
Non vi dirò dov’è il posto che non c’è e che ho trovato per caso un sabato sera.
Sono geloso, non deve trasformarsi in un locale qualunque, è un luogo dell’anima, dei ricordi profondi e vecchi, delle sensazioni leggere e positive, lo si guadagna solo desiderandolo. E’ un segreto che riservo ai miei amici del cuore.
Altrimenti potreste dire che è brutto e squallido, oppure che non è un trattoria né una sala da ballo, che non è niente, che non c’è parcheggio e che è fuori moda.
Quando ce ne stiamo andando, già indossati i soprabiti, il posto che non c’è regala un’ultima sorpresa: le api laboriose e instancabili montano il karaoke ed iniziano a cantare tutti insieme “Arrivederci Roma”, hanno ancora voglia di godere la serata.
Cosa avreste fatto voi se fosse stati lì con noi ?