JB Bottegone – soluzione di un mistero

Meraviglie di internet:
questa mattina mi arrivano due commenti sul JB Bottegone che rispondono in maniera autorevole, e direi definitiva, al quesito che mi ero posto nella recensione del locale, ovvero il misterioso significato della sigla JB.
Fra le ipotesi fantasiose e surreali che avevo proposto ce n’era una che tanto fantasiosa invece non era .
Lascio la risposta alle parole di Enzo, confermate anche da Claudio, che troverete anche nei commenti, ma che ripropongo volentieri e ringrazio di cuore.

“Salve
negli anni 70 io mi occupavo del bar
del jb e vi confermo che il nome deriva dalla cantante americana, all’epoca (ma anche oggi) eravamo affascinati da quella musica ma c’era solo la rai e perciò
la si poteva ascoltare solo sui dischi
la domenica si passava musica per ballare
ma durante la settimana fra di noi sempre in discoteca
si ascoltava
joan baez, bob dylan , pink floyd ecc,
il locale di adesso ha poco a che vedere con la discoteca di allora che fra l’altro era al piano superiore
ma sono contento che quella sigla che scegliemmo quasi 40 anni fa sia rimasta
saluti
enzo “

come dicevamo: meraviglie di internet e meravigliosa Joan Baez

 

Milleluci

MilleluciVia Fratelli Cervi, 1 – Casalguidi (PT)         tel. 0573.929070
arci.milleluci@virgilio.it
Quando si balla
sabato sera                                                  liscio e revival con orchestra
Prezzo
inferiore a 10 euro
Pista da ballo
22 (17) passi x 10 passi
Parcheggio
Parcheggio pubblico al di là della strada, non molto grande
Dove si mangia
A fianco nel circolo Arci ristorante e pizzeria

Innanzitutto una precisazione: noi foresti si tende a dire il Milleluci, singolare maschile, ma la corretta definizione è “le Milleluci”  plurale femminile, tante, tante, ma tante lucine accese nella notte di Casalguidi.
Esistono due correnti di pensiero tra i frequentatori abituali delle sale da ballo della nostra zona: chi ama le Milleluci e chi non le sopporta.
La discriminante è una ed una soltanto: il ballo di gruppo.
Si accusa infatti la popolazione danzante delle Milleluci di eccedere in questa pratica.
Io l’ho provato più volte ed effettivamente c’è la tendenza a invadere la pista con  mambi, cinquiti, hullygully, bachate e via discorrendo un po’ di più rispetto ad altri locali, si tratta probabilmente di una tradizione che si autoalimenta attirando i molti appassionati di questa specialità.

La moda del ballo di gruppo nasce da una esigenza reale: la necessità di potersi muovere in pista indipendentemente dall’avere un partner e in un modo libero, l’unica regola è quella di seguire il ritmo della base musicale lasciandosi andare con la massima naturalezza.
Un po’ quello che accade con la discomusic con la differenza che questo è rivolto a tutte le età, anzi, la terza età è privilegiata nella esecuzione trattandosi di un misto di aerobica e ginnastica dolce delle gambe, senza sforzo, né allungo, sono la durata o l’affollamento della sala che fanno faticare.
Quando qualcuno dell’orchestra annuncia al microfono “….e ora un bel mambettino per cominciare …..!”  ecco che una masnada di aspiranti ballerini si dispone in file disordinate occupando tutta l’area della pista fino alle poltrone ed emarginando i disperati che vorrebbero affrontare un ballo di coppia tradizionale e che si ritrovano a procedere lungo i bordi della sala con i gomiti strettissimi fino alla rinuncia definitiva.
Uno dei misteri del ballo di gruppo e che l’orientamento delle file che si vengono a formare è sempre disordinato, qualcuna è rivolta verso ovest, altre verso la Mecca, altre ancora verso la stella polare, ma va bene lo stesso, mica stiamo parlando di una parata militare !
Importante  e che almeno all’interno della stessa fila siano tutti rivolti in uno stesso verso altrimenti si creano incrocchi pericolosi per stinchi e menischi.
I passi sono praticamente i soliti per qualunque ballo, cambia solo l’ampiezza e il ritmo. Generalmente si ha un primo passo incrociato a sinistra con gambetta destra proiettata in un calcetto stile gemelle kessler, poi lo stesso passo verso destra con conseguente gambetta sinistra e calcetto, poi stessi  passi avanti e poi indietro ed infine cambio di orientamento del corpo di novanta gradi verso destra e si ricomincia; come variante si possono battere le mani ritmicamente.
Gli sguardi sono fissi davanti a sé privi di ogni espressione e di qualunque barlume di intelligenza, la testa in alcuni casi è leggermente reclinata come  a concentrarsi sul ritmo.
E‘ un movimento meccanico: un, due, tre, incrocio, saltino, ripetuto all’infinito cambiando solo il fronte e che porta alla ripetitività ossessiva del gesto. E‘ l’antitesi del ballo  di coppia, che è fatto di regole  e programmi  contraddistinti e diversificati tra uomo e donna.
E questo è quanto per il ballo di gruppo.

Il locale è famosissimo nella piana sia perché Milleluci è un circolo Arci di grande tradizione e molteplicità di interessi sia perché qui si balla da una vita.
I nostri padri ci son passati per giocare a carte o a biliardo, o magari a farsi una pizza,  le nostre madri almeno una volta ci sono andate a ballare al ritmo di rock o di liscio o a vedere i complessini beat degli anni settanta.
Storie, amori, amicizie e scuole di ballo, grandi orchestre, e solisti  di grido  si sono succedute in questa pista.
Ma il circolo non è solo ballo, vanta infatti una presenza  politica, culturale e sportiva di prim’ordine iniziata il 25 giugno del 1955.
Quasi sessanta anni di vita strettamente intessuta con le comunità di Casalguidi e Cantagrillo  e che per vitalità e impegno si è andata estendendo molto  oltre i confini del comune di Serravalle fino a Pistoia, Prato e Firenze.
Per sapere tutto ma proprio tutto sulle Milleluci si veda la bella pubblicazione di Adele Tasselli, cognome classico di questa zona, “Le Milleluci, storia della Casa del Popolo di Casalguidi“ Nuova Toscana Editrice.

La pista ha una forma singolare: rettangolare con il lato corto non molto ampio e un paio di prolungamenti che estendono i lati lunghi in un percorso insolito.
Il pavimento è in piastrelle di marmo amaranto molto scorrevole, i tanti e comodi divanetti rossi sono posizionati su due file di gradini con pavimento a quadrotti bianchi e celeste, le pareti sono tinteggiate di azzurro, l’illuminazione è fatta da tantissime piccole luci multicolori, è ovvio siamo alle milleluci, e crea un ambiente caldo e accogliente.
Ci si sta bene.
II palco dell’orchestra posizionato sul lato lungo della pista ospita sei, sette elementi, alle spalle una grande “M” stilizzata simbolo del locale.
Il bar è ampio e ben fornito di cocktail e beveraggi tradizionali ed a mezzanotte propone sempre un gradevole spuntino.
E’ aperto solo al sabato sera, una offerta  prudente che garantisce un bell’affollamento, può ospitare  sino a trecento persone e chiude alle due di mattina,  per i gruppi musicali ci si affida alla Vegastar.
Raccontano  i “vecchi” del Milleluci di aver accolto qui dentro negli anni settanta 1.200 persone per un concerto di Sandro Giacobbe.……. non ci posso credere ….. ma dove li hanno cacciati tutti ?????
L’ambiente è semplice, ma non banale, sui divanetti si parla senza bisogno di urlare e si vede bene cosa accade sulla pista che è un poco più in basso, l’accoglienza è cordiale e amichevole, l’atmosfera è quella di un vecchio dancing tradizionale, immutabile.
Musiche diverse e abiti diversi ma l’atmosfera doveva essere la solita trent’anni fa, ecco, la definizione più giusta di questo locale è “tradizionale”, si sa cosa offre e non tradisce  le aspettative.

Giudizio
Grande tradizione di ballo liscio e pista da provare, assolutamente da non perdere per chi ama i balli di gruppo.
Cortesia del personale, buone orchestre, guardaroba ben posizionato, ottimo e professionale il servizio bar.
Non una baleraccia da raccattati, ma un bel locale dove la gente si presenta con l’abito buono e con il solo scopo di ballare, ballare, ballare. Frequentatissimo da sempre, non tradisce mai.
Due avvertenze però dobbiamo farle:
occorre fare i conti con i gruppi che si formano spontaneamente sui ritmi latini e moderni e effettivamente restringono lo spazio in pista.
occorre un poco di attenzione ai gradini che si insinuano perfidi fra le belle poltroncine rosse, sono illuminati da mille lucine, ma ……. traditori.

Due ballerini e mezzo e …… lunga  vita alle Milleluci !

Terzo anniversario

Dio come passa veloce ! Il tempo intendo.
Eccoci ancora qui a celebrarci: terzo anno di ballo e secondo di blog, visto che le date coincidono in questa settimana di marzo.

Patriebalere ha due anni di vita.
Il blog a dicembre è migrato su piattaforma Aruba e con un dominio finalmente personale www.patriebalere.it.
Ci sono stati circa 6.200 contatti ovvero volte in cui qualcuno ha cliccato ed aperto una pagina,  con una media di  otto visite al giorno.
Sono molto fiero della veste grafica del blog e della suddivisione in argomenti:
pagina principale
la posta del cuore
le mie balere
lezioni di ballo fai da te
avanzi di balera
abc delle gare di ballo

Le storie che vedono protagonisti i compagni di ballo sono quasi del tutto scomparse, non è che non ci sarebbe di che raccontare piuttosto stanno diventando cose di amici, fatti personali e non mi va di metterle in piazza, ce le godiamo fra noi.
Si tratta quindi di  racconti di pura fantasia anche se qualche acuto osservatore potrà riconoscere negli atteggiamenti particolari di qualche personaggio i tratti di qualcuno di noi.
La posta del cuore di Ivano Libanore è il mio divertimento maggiore, una sfruculiata goliardica totalmente priva di senso.
Le lezioni di ballo fai-da-te di Isidoro Polvani le ho scritte tutte d’un fiato l’estate di un anno fa, al mare, ne pubblico una ogni tanto. Vi sono molto affezionato ma so che non piacciono molto.
Sono rammaricato che le recensioni de Le mie balere non aumentino, ma per una serie di circostanze il sabato sera non andiamo quasi più a ballare e  la cosa ci manca molto.
Al contrario l’abc delle gare da ballo si arricchisce settimanalmente di nuovi capitoli, cose che ci toccano personalmente o vediamo da vicino nei palazzetti di mezza Italia.
Avanzi di balera infine è la mia sfida più rilevante, l’embrione di una storia articolata con luoghi e personaggi da piccolo romanzo. Ci sto lavorando sodo, ogni  tanto esce un capitolo a mo’ di esperimento.


Tre  anni di ballo

Il 12 marzo 2009 assistemmo attoniti alla nostra prima lezione collettiva di ballo da sala, un giovedì sera fortunato in quel di Candeglia.
Non sapevamo niente del tango, del valzer, del foxtrot e di qualunque altra cosa che invogliasse a muovere piedi e fianchi a tempo di musica ed eravamo intimamente convinti che fosse un tentativo inutile.
Ieri, tre anni dopo, abbiamo partecipato al  trofeo Lunidanza a Livorno, gara competitiva nazionale danze standard classe B3 categoria 56/61 anni.
Non interessa come è andata , interessa piuttosto che si può fare, come si usava dire

YES WE CAN

È vero la filosofia del yes we can non va più di moda in politica, ma vi assicuro che in altri campi è sempre valida.
We can, si può imparare a ballare a sessant’anni eccome se si può, ma attenzione non è tutto facile, come in ogni attività  occorrono determinazione, ambizione e perseveranza ……. e un bel po’ di quattrini !

Dunque il mio invito caloroso è: andate a ballare, imparate a ballare, divertitevi e fate movimento a tempo di musica e tra la gente, non ci sono controindicazioni.
Se qualche lettore incuriosito vuole capire cosa significa divertirsi  a tempo di liscio e senza impegno può andare il giovedì sera al Circolo Sperone dove i miei amici ballerini Adriano e Manola si divertono da matti e mostrano i movimenti elementari del ballo.
Se poi  qualcuno volesse veramente imparare a ballare come si deve c’è una sola risposta: Dance Style Academy dei miei grandissimi, fantastici e superlativi maestri Barbara Benedetti, Marco Bartolini e Christian Costa. Il massimo.

La posta del cuore: titubante e perplesso

Vi scrivo questa missiva in quanto titubante e perplesso.

Al sabato vespertino sono aduso recarmi a ballare presso il noto locale “La Riverenza”  sito nella ridente località termale di Bagni di Sopra.

Il locale ha una tradizione di frequentazione da parte della bella gente del posto, ma è un tantino freddino nel senso che non ci transitano tante donne e i distinti signori presenti passano tristemente la serata in cameratesche discussioni filosofiche senza ballare mai.

Ogni tanto perciò, colto da raptus di sgranchimento di membra,  mi reco in un altro locale, sito nella meno ridente località di Bagni di Sotto.

Si tratta del famigerato “Il Rigurgito”, una balera frequentata da gente ignorante dove l’ingresso costa molto meno e ci sono molte ballerine di liscio un tantino sgangherate, ma disponibili a ballare qualunque cosa.

Quelle sere ballo con un mucchio di donne arzille e anche se la conversazione non è tanto interessante mi diverto assai di più.

Ho però notato che allorquando mi reco alla toilette del “Rigurgito” per svolgere le primarie funzioni corporali e tiro lo sciacquone  il pannello di segnalazione del troppo pieno a marea emette una lucina rossa lampeggiante  e  bisogna scappare di corsa per non rimanere investiti dall’onda anomala che esonda dalla tazza del cesso.

Le prime volte che è accaduto ho fatto finta di niente e fuggendo ho sprangato la porta alle mie spalle, ma sabato scorso non ho fatto in tempo a scappare e allora, dopo essermi asciugato alla meno peggio, mi sono permesso di far  notare la cosa al bigliettaio del Rigurgito.

Per tutta risposta questi mi ha detto tutto serio che quello che viene espulso corporalmente a Bagni di Sopra finisce inevitabilmente a Bagni di Sotto essendo gli scarichi unificati a norma Cee,  quindi se voglio ballare devo recarmi a Bagni di Sotto, ma se devo defecare è meglio che prenda l’autobus e salga a Bagni di Sopra per poi ritornare di sotto a ballare.

Ora le chiedo è possibile questa cosa o mi stanno prendendo in giro ?

In attesa di una sua risposta chiarificatrice preferisco momentaneamente stare a casa a mangiare il tiramisù della zia Jolanda, senza esagerare perché ho paura che mi causi dissenteria.

Mi ha capito ?

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Caro amico, ma lei ha una vera fissazione con l’apparato digerente !

La sua storia mi fa venire in mente una esperienza vissuta in una fase agnostica della mia giovinezza, quando mi ero messo a studiare infermieristica applicata sperando di poter giocare ai dottori con le femmine e mi iscrissi ad un corso di praticantato presso una clinica di Montecatini Terme, località ben nota per le proprietà lassative delle sue acque.

Poiché non avevo ancora conseguito il master in intestinologia mi misero a pulire i  bagni dello stabilimento termale, dove veramente ne ho viste di tutti i colori e ne ho annusate di tutti gli odori.

Confesso che non resistetti più di una settimana in quell’ambiante di miasmi e approfittai della benevolenza di una ricca signora stitica di Pozzuoli per darmi alla macchia.

Ma veniamo a noi.

Il problema che lei mi pone andrebbe rivolto ad un esperto di condutture fognarie cittadine, se si trattasse di una cosa seria, ma poiché temo che lei sia stato vittima innocente di un bigliettaio burlone, le suggerisco di rispondere con le stesse armi: si rechi dunque al Rigurgito dopo aver assunto una tripla dose di guttalax, quindi, dopo aver scosso ben bene l’intestino con una polka sfrenata, si rintani  nella toelette e si dia da fare per provocare una alluvione come si deve liberando una corpata di materiale fecale.

Quindi fugga a gambe levate non prima di aver lasciato la porta del bagno ben aperta in modo da invadere la sala da ballo.

Vedrà che porranno finalmente mano agli scarichi difettosi del locale.

Post Scriptum

Questo suggerimento implica purtroppo la conseguenza che non potrà più metter piede nel locale per non essere bastonato a sangue, ma una simpatica vendetta vale pure qualche sacrificio.

Orsù, diamoci da fare !

La posta del cuore: Gerolamo Pelo

Alla attenzione di Libanore Ivano della allegra brigata SAMBA
Il giorno 24 settembre corrente nel corso della serata di ballo liscio presso il noto locale L’Arruffapopoli sito in località Belvedere, il sottoscritto appuntato Gerolamo Pelo, fuori servizio ed in abiti borghesi chiedeva di ballare una mazurca a tale Penicucci Adele di anni cinquantaquattro, nubile, che trovavasi in quel frangente seduta a un tavolo del bordo pista della suddetta sala in apparente stato di attesa.
La citata Penicucci si rifiutava di congiungersi col sottoscritto adducendo motivi di cattiva digestione. A tale risposta negativa il sottoscritto si ritirava in buon ordine.
Dopodiché il sottoscritto si recava a piedi all’altro capo della sala citata per chiedere di effettuare un valzerino romagnolo a una donna di sesso femminile risultante essere la signorina Quiriconi Rosalba di Pietrasanta di anni cinquantasette, la quale rifiutava pur’essa adducendo come alibi di avere le estremità inferiori doloranti.  Anche a seguito di  tale risposta negativa il sottoscritto si ritirava di nuovo in buon ordine.
Dopo circa ventiquattro minuti trascorsi a guardare gli altri ballare, il sottoscritto me medesimo, già in stato di abbattimento e frustrazione per i ripetuti rifiuti, si imbatteva, proprio sulla porta della ritirata, in una signora di aspetto non troppo assuefacente, ma dotata di curve e controcurve da ritiro della patente  e le chiedeva di abbinarsi al medesimo in un tango figurato corredato di  regolamentare casqué.
La donna, le cui generalità non sono state fornite, declinava l’invito con una frase ingiuriosa nei confronti dell’Arma, nello specifico: “No, nu abballo, ma quanto si’bbrutto figlio mio”.
A tale risposta negativa il sottoscritto non si ritirava in buon ordine bensì, estratto il tesserino di riconoscimento, imponeva d’autorità il silenzio all’orchestra spettacolo Mirko e i Buttafuori, ivi operante, composta da quattro elementi più il Mirko stesso, che si stavano esibendo nella nota composizione “La trottola dell’amore”.
Afferrato il microfono del Mirko il sottoscritto ingiungeva a tutte le donne di sesso femminile presenti in sala di mettersi sedute ai loro posti mantenendo la calma e minacciando in caso contrario di richiamare la pattuglia di servizio per una retata di massa.
Una volta messe tutte a sedere, il sottoscritto iniziava a raccogliere le generalità delle signore per sottoporle a stringente interrogatorio su gusti danzanti e presenza di eventuali mariti e/o fidanzati nel tentativo di scoprire quali di esse fossero effettivamente libere.
Purtroppo, mentre stavano per arrivare i primi riscontri, sopraggiungeva la pattuglia in servizio dell’arma che, anziché, procedere al fermo dei presenti,  trascinava il sottoscritto in caserma sottoponendolo ad una iniezione sottocutanea di valium all’uopo fornita dalla squadra antinarcotici.
Il sottoscritto si chiede: c’è forse qualcosa che non va nel suo atteggiamento ?
In fede appuntato Pelo Gerolamo

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Che nostalgia dell’Arma, caro Pelo !
A onor del vero non è che io c’entri molto con l’Arma, anzi per dirla tutta fui riformato al servizio di leva grazie alla mamma che, poverina, si dette un gran daffare con il quartier generale e, tanto per non far torto a nessuno, con tutto il distretto militare.
Ricordo però che in occasione di un  carnevale di molto tempo fa ebbi la felice idea di travestirmi da generale, maresciallo, o qualcosa del genere, insomma pantaloni neri, bande rosse, bandoliera, un mucchio di alamari,  cappellone con  piuma e sciabola d’ordinanza.
Facevo un figurone perché è risaputo che le donne sono attratte irresistibilmente dall’uniforme. In quella circostanza feci coppia fissa con una ninfomane di Voghera travestita da crocerossina della grande guerra.
Sembrava di essere sul campo di battaglia, e che battaglia !
Eravamo fittamente impegnati nelle grandi manovre quando venimmo cacciati dalla festa perché nel corso delle nostre effusioni combinai inavvertitamente qualche piccolo malestro con la sciabola, che ovviamente non mi ero tolto, e che sporgeva dalle terga.
Bei ricordi del tempo che fu.
Sovvenendomi di quell’episodio mi domando perché tu non ci dia un po’ più dentro di enfasi nelle tue uscite ballerine. Dovresti fare appello a tutto l’armamentario di autoritarismo e orgoglio virile che ti avranno sicuramente insegnato in caserma.
Bello e impettito infilati l’uniforme da parata, raccatta un po’ di medaglie e decorazioni colorate e appuntale sul torace, se non ne hai procuratele a qualche mercatino dell’usato, poi stivaloni da cavalleggero e cappellone con pennacchio da corazziere. Così dovresti essere alto un paio di metri e vedrai che quando metterai piede all’Arruffapopoli ti faranno largo con deferenza, infatti è di rispetto che hai bisogno per non farti rifiutare dalle comari ballerine.
Il massimo sarebbe presentarsi a cavallo, ma non pretendo tanto, però almeno la gazzella con tutte le luci accese dovresti fartela prestare dal comando, per una sera cosa vuoi che sia, ricorda che le auto vistose hanno sempre un fascino notevole sulle ragazze.
Mi raccomando di portare la sciabola che dona tanta autorità, ma abbi l’accortezza, una volta fatto un paio di passerelle in sala per farti notare, di lasciarla al guardaroba.
Petto in fuori e mento in su, avanti marsch … unò due, unò due, unò due ………….. eccetera eccetera.

Ancora un Buon Natale

Sono andato a cercarmi il messaggio di auguri natalizi di un anno fa e ho fatto la conta di coloro ai quali questa volta non dovrei fare gli auguri, vuoi perché non ci frequentiamo da mesi, vuoi perché la corrente di empatia si è interrotta o le strade si sono come si suol dire divaricate.

Si tratta di un mucchio di gente.

Talvolta ci si ritrova in scelte di campo senza alcuna malevolenza accorgendosi che un poco alla volta si è intrapreso un percorso diverso che conduce verso altre frequentazioni, altre convinzioni e altri interessi.

Un pezzo di strada della nostra vita percorso assieme e poi l’oblio.

Non c’era niente di sbagliato prima, non c’è niente di sbagliato adesso, è solo che le cose cambiano anche senza di noi, anche sopra di noi.

Così il mio pensiero è ora rivolto a tutti coloro con i quali incrociamo i ricordi di ieri e le aspirazioni di oggi.

Auguri dunque al popolo dei ballerini e dei sedentari, agli assidui frequentatori di balere disponibili a lasciarsi andare per il fugace tempo di una canzone, auguri a maestri e allievi, ai virtuosi danseur impomatati chiusi nei frac e agli indaffarati, disarticolati tirocinanti, alle danseuses  appannate e pur sempre eteree e alle spose esuberanti fasciate di crinoline e pajettes con tante prospettive alle spalle.

Auguri a quelli che alla sera in macchina, tornando a casa, ascoltano le canzoni della radio, a quelli che non sono ancora sazi di musica, a quelli che rimandano ostinatamente l’ora del rientro, a quelli che prima di dormire parlano ancora una volta di giro naturale ed a chi fa già progetti per la prossima sera.

Auguri a chi dopo una sera di ballo si getterà sul letto ancora truccata con la voglia di dimenticare tutto e a chi toglierà il fondotinta con flemma davanti allo specchio ripensando a proposte di incontri futuri, accarezzando speranze che al risveglio non saranno più le stesse.

Auguri a quelli che per una notte hanno dato il meglio e non sono ancora appagati e a quelli che hanno trascorso un’altra serata da soli, a guardare gli altri sorridere, e tuttavia non hanno abbandonato la speranza.

Auguri a quelli che domani dormiranno fino a tardi e non ricorderanno  le avventure di oggi ed a quelli che sogneranno la ballerina con cui hanno condiviso una fugace beguine, auguri a quelli che hanno già sonno  e non combattono più.

Auguri a voi compagni di passione e di  di queste notti di musica e danza, auguri a  voi che animate queste storie di speranza e malinconia, auguri a tutti voi, pipistrelli notturni, compagni della mia sera.

e chi vi ferma a voi !

“Danzare è come parlare in silenzio. E’ dire molte cose, senza dire una parola.”

(Yuri Buenaventura grande cantante colombiano di salsa)

A Diosa

Capita talvolta che un brano musicale si nasconda tra le pieghe della memoria salvo poi, senza alcun preavviso, affacciarsi  improvvisamente mentre si passeggia o si fa la doccia.

Così ci troviamo a canterellare una trama della quale magari non si conoscono il titolo né le parole, una melodia imperfetta che viene evocata e della quale poi, con una frivola curiosità, dobbiamo per forza saperne di più.

A me è successo con “Non potho reposare”.

Il primo incontro, è stato quando ho dovuto ballarci sopra un valzer lento ed è stato incontro doloroso perché proprio non c’era verso di far coincidere i passi col ritmo, troppo difficile ai tentativi superficiali, oltretutto non capivo niente del testo e della voce, così ero quasi indispettito sebbene attratto dal brano.

La seconda scoperta è stata quando, ascolta e riascolta, balla e riballa, mi è venuta la voglia di conoscere meglio il personaggio di Andrea Parodi che quel pezzo cantava e aveva portato al successo e che, confesso la mia ignoranza, prima di allora non conoscevo.

Il terzo livello di conoscenza è stato il testo: tre strofe in dialetto sardo che mi hanno spinto a ricercarne l’origine: era evidente che non si trattasse di una semplice canzonetta e che nascondessero qualcosa di più

Così, piano piano, è emersa “A Diosa”, la poesia originale  e la sua storia, e così è nato il desiderio di farla conoscere a coloro che, come me, non ne sapevano niente, quasi un modesto omaggio all’autore, al cantante, alla musica e alla Sardegna.

La canzone nasce dalla poesia “A Diosa”,  il cui significato dovrebbe essere dea, divina o qualcosa del genere, scritta nel 1915 da Salvatore Sini detto “Badore” originario di Sarule in Barbagia,  pastore come tanti altri ragazzi dell’epoca,  poi poeta e infine avvocato.

Intorno agli anni venti il nostro Badore, che nel frattempo per tirare avanti si faceva onore nei tribunali, continuava imperterrito a scrivere drammi e testi di canzoni in quel di Nuoro, già allora definita l’“Atene Sarda”.  E’ in quel periodo che ebbe  inizio una stretta collaborazione col maestro Giuseppe Rachel, che di mestiere faceva l’impiegato nella pubblica amministrazione, ma che soprattutto era il direttore della banda di Nuoro il “Corpo musicale filarmonico”.

Nel 1921 Rachel, forse riprendendo una vecchia aria da lui stesso composta precedentemente,  pensò bene di mettere in musica tre strofe della versione originale della poesia del suo compare e così stese una composizione  per tenore e pianoforte con il tempo di mazurka, ritmo che richiama le feste paesane e lo spirito popolare.  Così nasce la canzone “Non potho reposare”  che prende il titolo del primo verso della poesia e che intraprende da quel momento una propria strada autonoma.

Da qui in poi non succede niente fino al 1936, anno della prima isolata incisione delle tre strofe da parte del tenore Maurizio Carta. Poi ancora oblio, la canzone viene presumibilmente eseguita dalla sola corale di Nuoro.

Soltanto dopo altri trenta lunghi anni, nel 1966,  il Coro Barbagia di Nuoro  incide un long playing intitolato “Sardegna, canta e prega“,  dove il primo brano proposto è proprio “Non potho reposare”,  e proprio nello stesso anno, neanche a farlo apposta, anche  il Coro di Nuoro, registra la raccolta “La Sardegna nel canto e nella danza“, dove ugualmente troviamo il nostro brano. Si vede che tutto d’un botto si erano tutti svegliati !

E’ grazie a queste incisioni che il brano esce da Nuoro e dalla Barbagia e inizia a  riscuotere un successo crescente. Da questo momento,  infatti, si trasforma in valzer lento e si diffonde conquistando i cuori di tutti, sardi e non. Ci penseranno altri nuovi interpreti a contribuire alla sua completa affermazione: le corali Cànepa e Vivaldi di Sassari, Maria Carta, Elena Ledda, i Tazenda, I Bertas, Andrea Parodi, I Cordas e Cannas e poi Gianna Nannini e Mario Carta e ancora molti altri gruppi e solisti.

A me piace la versione intima e essenziale di Andrea Parodi e Al di Meola. Quella oramai notissima dello stesso Parodi con i Tazenda è un valzer ballabile come ho detto un pochetto difficile e perciò affascinante.

La poesia è una dichiarazione di amore appassionato e spirituale, la canzone ne coglie le forti strofe introduttive culminando con un inciso e ripetuto “t’amo”, del tutto eccezionale per il contesto in quanto fino ad allora mai si era parlato apertamente di amore in una canzone in dialetto sardo, per tradizione terra di pudore e ritegno. Meraviglia delle meraviglie in questo brano l’invocazione  “ti amo” si ripete con forza per ben tre volte.

E’ una serenata piena di spiritualità e tenerezza senza tempo né confini ancora viva dopo quasi cento anni.

A titolo informativo Badore Sini scrisse anche la risposta poetica indirizzata dalla donna all’uomo e la intitolò, guarda un po’, “A Diosu” , ma questa ve la risparmio anche perché nessuno ne ha tratto una bella canzone e quindi non ci capiterà mai di ballarla.

E adesso gustiamoci la poesia originale e la sua traduzione in lingua italiana.

A Diosa
Salvatore Francesco Sini (1873-1954)

Non potho reposare amore, coro,
pessande a tie soe donzi momentu;
no istes in tristura, prenda e’oro,
nè in dispiaghere o pessamentu.
T’assicuro ch’a tie solu bramo,
ca t’amo forte, t’amo, t’amo, t’amo. 

Amore meu, prenda d’istimare,
s’affettu meu a tie solu est dau.
S’are giuttu sas alas a bolare
milli vortas a s’ora ippo volau,
pro venner nessi pro ti saludare,
s’atera cosa nono a t’abbisare. 

Si m’esseret possibile d’anghèlu,
d’ispiritu invisibile piccavo
sas formas e furavo dae chelu
su sole, sos isteddos e formavo
unu mundu bellissimu pro tene
pro poder dispensare cada bene. 

Amore meu, rosa profumada,
amore meu, gravellu olezzante,
amore, coro, immagine adorada.
Amore, coro, so ispasimante,
amore, ses su sole relughente,
ch’ispuntat su manzanu in oriente. 

Ses su sole ch’illuminat a mie,
chi m’esaltat su coro e i sa mente;
lizzu vroridu, candidu che nie,
semper in coro meu ses presente.
Amore meu, amore meu, amore,
vive senz’amargura, nè dolore. 

Si sa lughe d’isteddos e de sole,
si su bene chi v’est in s’universu
are pothiu piccare in d’una mole,
comente palumbaru m’ippo immersu
in fundu de su mare a regalare
a tie vida, sole, terra e mare. 

Unu ritrattu s’essere pintore,
un’istatua ‘e marmu ti vachia
s’essere istadu eccellente iscultore,
ma cun dolore naro: “Non d’ischia”.
Ma non balen a nudda marmu e tela
in cunfrontu ‘e s’amore d’oro vela. 

Ti cherio abbrazzare egh’e basare
pro ti versare s’anima in su coro;
ma da lontanu ti deppo adorare.
Pessande chi m’istimas mi ristoro,
chi de sa vida nostra tela e tramas
han sa matessi sorte prite m’amas. 

Sa bellesa ‘e tramontos, de manzanu
s’alba, aurora, su sole lughente,
sos profumos, sos cantos de veranu,
sos zeffiros, sa brezza relughente
de su mare, s’azzurru de su chelu,
sas menzus cosas dò a tie, anghèlu.


Non trovo riposo, amore, cuor mio:
il mio pensiero volge a te ogni momento.
Non esser triste, gioia d’oro,
non dispiacerti e non stare in pensiero.
Ti giuro che desidero solo te
perché ti amo, ti amo, ti amo.

Amore mio, tesoro inestimabile,
a te sola è riservato il mio affetto.
Se avessi avuto le ali per volare,
sarei volato da te mille volte:
sarei venuto per salutarti almeno
o anche solo per vederti appena.

Se potessi prenderei
la forma di un angelo,
d’uno spirito invisibile,
ruberei dal cielo sole
e stelle per formare
un mondo bellissimo per te
per poterti dare ogni bene.

Amor mio, rosa profumata;
amor mio, garofano odoroso;
amore, cuore, immagine adorata;
amore, cuore, io spasimo per te,
amore, sei il sole lucente
che spunta la mattina in oriente.

Sei il sole che m’illumina
e m’esalta cuore e mente;
giglio in fiore, candido come la neve,
sei sempre presente nel mio cuore.
Amor mio, amor mio, amore:
vivi senz’amarezza né dolore.

Se la luce delle stelle e del sole
e tutto il bene che c’è nell’universo,
avessi potuto prender tutto in una volta
mi sarei immerso come un palombaro
in fondo all’oceano per regalare a te
vita, sole, terra e mare.

Se fossi pittore ti farei un ritratto,
una statua di marmo
se fossi un eccellente scultore.
Invece dico con dolore: “Non lo so fare”.
Ma il marmo e la tela nulla valgono
in confronto alla vela d’oro dell’amore.

Vorrei abbracciarti e baciarti
per versare la mia anima nel tuo cuore.
Ma debbo adorarti da lontano.
Il pensiero del tuo amore mi conforta,
tela e trama della nostra vita
hanno la stessa sorte perché m’ami.

La bellezza dei tramonti, l’alba del mattino,
l’aurora, il sole splendente,
i profumi, i canti della primavera,
gli zefiri, la brezza rilucente
dal mare, l’azzurro del cielo
le cose più belle dono a te, angelo.


Per chiudere con un sorriso faccio una proposta dissacratoria:  cantare  sulla frase musicale di “Non potho reposare”  le prime quattro rime di un saltarello medievale dell’Italia centrale il cui testo proviene da un manoscritto conservato alla British Library di Londra, nel quale sono contenute tutte le musiche strumentali italiane di cui sia rimasta traccia.

Non era usanza di quel tempo mettere per iscritto musiche non vocali,  per questo motivo sono andate perse quasi tutte le musiche strumentali del Medioevo italiano.

Come si vede si tratta di una cosa seria, il cui significato fra l’altro è tutt’altro che spensierato, e non di una goliardata,

 Non posso far bucato che non piova

Se’l tempo bello, subito si turba,

Balena, tuona, e l’aria si raturba

Perch’io non possa vincer la mia prova.

 Così sanza ragion m’è fatto torto

Ch’io servo ogni uomo e ciascun mi vuol morto

Di che la vita mì viver non giova

 Qualcuno dirà:  ma cosa c’entra ? niente, si fa per cazzeggiare !

Andrea Parodi e Al di Meola: Non potho reposare

La posta del cuore: Elena di Russia

Mio nome è Elena, ho 44 anni e sto scrivendo dalla provincia in Russia.
Io lavoro in biblioteca e, dopo, il mio computer lavoro posso utilizzare, se possibile.

Ho scovato alcuni indirizzi su Internet e deciso di scrivere questa lettera a voi del SAMBA perché mio sogno segreto essere fare ballo da cubo in locale a luci rosse da voi in Italia.
Ho quattro figli di quattro, tre, due, uno anni vecchi. Suo padre ci ha lasciato dopo ultimo, detto basta figli uno per anno e andato in miniera a Meždurečensk, detto basta scopare, meglio Siberia che altri figli.

L’inverno ora sta arrivando e il tempo nella nostra regione è molto freddo. Noi usare riscaldamento a legna, abbiamo risparmio di legno nel granaio e arrivano a casa nostra caldo tutto l’inverno per noi a costo zero. Però sarebbe bello avere a casa per una stufa portatile per il calore. Purtroppo non possiamo acquistare questa stufa nel nostro mercato locale, perché il costo di questo forno è 8.045 rubli, e molto costoso per noi.

Io penso che se vengo in vostro paese a ballare ballo da cubo in  locali luci rosse può prendere rubli per stufa.

Ho letto che voi del SAMBA sistemate affari di ballo e chiedo se possibile trovare ingaggio in locale per me. Io 44 anni ma fare cubo meglio di giovanetta gne gne gne  italiana. Mie misure sono novanta novanta novanta.
Scuso per gli errori in questa lettera mi spiace. Stavo usando Google amplificatori.
Elena.

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Mia cara Elena

Rispondo volentieri alla tua e.mail e cercherò di farlo usando un linguaggio semplice affinché tu meglio comprenda.

Leggere le tue parole di stufe e miniere mi ha riportato a tanti anni addietro quando, giovanotto maturo in cerca di me stesso, approdai dopo lunga peregrinazione nelle fredde terre di Siberia e tentai fortuna come venditore di maraschino contraffatto in una bettola nei pressi della miniera di diamanti di Mirny.

Allora, si parla di tanti anni fa, c’erano molti minatori alla ricerca di lavoro e molte mogli di minatori che aspettavano pazientemente il ritorno dei mariti.

Mi ricordo che dopo aver versato ettolitri di bel maraschino rosso fiamma nelle gole avide dei compagni stanchi dopo duri turni di lavoro, dovevo sovente riaccompagnare gli ubriaconi  a casa, infilarli nel letto e provvedere quindi a consolare le mogli ansiose e vogliose.

Si sa, la donna russa è femmina due volte, e una volta toccava spesso a me.

Tutto ebbe fine quando la contraffazione del maraschino raggiunse apici di imbevibilità e fui rispedito a casa col foglio di via.

Ma bando alle ciance e veniamo a noi.

Ciò che mi chiedi non rientra nella missione della nostra associazione perché noi non trattiamo offerte di lavoro e tanto meno di cubi.

Piuttosto ti consiglierei di inviare una bella lettera a qualche rubrica di cuori solitari del nostro soleggiato paese per vedere se scovi qualche laborioso zitellone in cerca di femmine esotiche. Considerate le tue notevoli misure direi che un falegname della Val Brembana abituato ai tronchi di abete potrebbe essere interessato.

Conoscendo bene i miei compatrioti ti suggerisco di non citare per il momento l’ingombrante presenza dei quattro pargoli affamati e rimarcare piuttosto la tua volontà di fare il cubo a luci rosse magari solo per il tuo futuro compagno.

Potrebbe funzionare e tu non avresti più freddo. Garantito al limone.

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Sono Elena dalla provincia in Russia.
Grazie di risposta, io usato meglio traduttore Google e capito che da voi piacere cubo e tronco in Val Brembana, però non capito cosa essere strane parole come bando ciance e garantito limone.

Essere qualcosa che devo io imparare per trovare uomo a luci rosse ?

Il Grillo

 

Il Grillo
Via Montalbano, 284 – Cantagrillo (Pistoia) tel. 0573.527274
Quando si balla  
sabato sera liscio e revival con piccola orchestra
Prezzo  
inferiore a 10 euro
Pista da ballo  
12 passi x 6 passi
Parcheggio  
ampio alle vicine piscine
Dove si mangia  
Pizzeria il Grillo a venti metri di distanza, comunque a mezzanotte funziona un servizio ristoro compreso nel prezzo, alla buona ma che sfama

In questo mio microcosmo di invasati ballerini può accadere che si vada in pizzeria a farsi una discreta pizza al tagliere, e che, a pancia piena, il solito mattacchione annusi aria di musica e ballo e scopra che due porte più in là, al primo piano di un edificio che ospita il bar, esiste una balera sconosciuta.

E più balera di così non si può.

Il Grillo si chiama, come la pizzeria del tagliere suddetto, il bar e la pizza speciale del cuoco e pure il paese che porta il romantico nome di Cantagrillo, ricordi di campagna e dolci suoni della natura.

Grillo è il nome comune di alcuni ortotteri della famiglia Gryllidae della superfamiglia Grylloidea: i più conosciuti sono il Grillo canterino, il Grillo del focolare, il Grillo silente, il Grillo dei boschi, il Grillotalpa e il Grillo parlante di Pinocchio.

Ovviamente nel nostro caso si tratta del Grillo canterino da cui l’etimologia del paese e da cui l’allegra predisposizione al sorriso degli abitanti detti  cantagrillini.

La balera di questa sera è uno stanzone rettangolare al primo piano, arredato con sedie e tavoli in plastica da giardino disposti ai quattro lati di una piccolissima pista da ballo.

Alle finestre tendaggi da roulotte con decorazioni giallo ocra  e marroncino, sui tavoli tovaglie di plastica arancio, al soffitto festoni di lampadine multicolori e alle pareti manifesti appiccicati col nastro adesivo dei gruppi musicali che verranno.

Quattro ventilatori a pale ci guardano dal soffitto tentando invano di rinfrescare l’ambiente.

Il pavimento è in piastrelle quadrate di monocottura avorio, tre colonne in stile classico, che non ci incastrano niente col resto, campeggiano su un lato, suppongo per sostenere il solaio, non certo per far sbattere le corna ai ballerini perché qui ci si vuol bene.

Ad un angolo un palco di due metri per due ospita l’orchestrina che, per questione di spazio, non può essere composta da più di due elementi

Accanto al palco si apre una porta (portapertaperchiporta) che dà su un magico e misterioso stambugio: un po’ cucina e un po’ lavanderia, calzolaio, officina e bazar, deposito e garage, rimessa attrezzi e ferramenta, dal quale a mezzanotte  il panciuto gestore attinge a piene mani tavoli e tovaglie, bevande e vettovaglie per rifocillare amorevolmente i ballerini, e ricchi premi e cotillons per le lotterie enogastronomiche.  Sopra la porta campeggia il motto che meglio rappresenta il locale “Qui si mangia si beve e si mette trapeli”.

Sembra di essere capitati per sbaglio a una festa in casa, un ritrovo di parenti e amici da sempre,  eppure non siamo trattati come intrusi, ma come cugini alla lontana, venuti fino quassù a trovare zie e nonni.

Si perché si tratta di avventori non di primo pelo, dai sessanta fino a limite di sopravvivenza, ottanta, novanta, centodue e chi più ne ha più ne metta, si potrebbe dire “diversamente giovani”, che sembra quasi un complimento.

Ci stanno un centinaio di persone compresse e  non c’è molto spazio per ballare ma la famiglia allargata degli habituè, scorre tra roteanti beguine e strascicati fox, non disdegnando balletti di gruppo che fanno tanto bene alle articolazioni. E non pensate che non si sappia ballare a modo, qui nessuno va fuori tempo e se i passi sono forzatamente piccoli non manca né energia né buonumore.

E’ una sala allegra, la gente ci viene col vestito della domenica e si diverte un mondo con poca spesa e se voi non vi divertite vuol dire che non avete capito lo spirito e non vi sentite anche voi un po’ parenti di tutti.

E’ un rifugio antiatomico contro gli eccessi del berlusconismo.

Giudizio

Mi piace l’idea, l’utilizzo e lo spirito di questo posto e soprattutto mi piace vivere in una città dove questi luoghi sopravvivono e  vegetano, quasi nascosti per non essere normalizzati dal progresso.

Ogni quartiere dovrebbe avere il suo Grillo, molto più socializzante del campo di bocce o della coda in attesa dal medico curante.

Da venirci a scopo terapeutico quando il mondo ci porta a pensare che la terza età sia solo tristezza e solitudine.

Un ballerino

 

 

 

Lezioni di ballo fai-da-te:Ballo sardo

Buongiorno, sono l’architetto e maestro di ballo Isidoro Polvani ideatore del “Metodo di ballo semplificato fai-da-te del maestro e architetto Isidoro Polvani, del Foro di Bagno a Ripoli”.

In questa bella mattina di sole voglio esporvi le regole che faranno di voi, amabili ed annoiate dame, delle vere e proprie ballerine etniche spendibili su tutto il territorio nazionale: il ballo sardo.

Ci sono una infinità di tipi di ballo sardo: Su Ballu Tundu, A Passu, Su Ballu Seriu, Su Ballu Antigu, Su Dillu, Su Ballu Corridore, Su Passu Torrau, Su ballittu de Tiligheddu Pintu e tutto quello che comincia  per Su e poi qualche altra cosa.

Praticamente ogni paese ne ha uno specifico, che dico, ogni rione di paese, a volte anche la singola strada e il singolo condominio ne ha uno caratteristico  tramandato negli anni, ben prima che fosse edificato il palazzo perché magari trae le proprie origini da un certo appezzamento di terreno, detto podere. La società di studi di etnocoreologia sarda associata ne ha tentato una classificazione arrivando al numero di due milioni e trecentocinquantamila, praticamente uno e mezzo per ogni abitante dell’isola.

Non sapendo cosa scegliere fra tanta abbondanza di proposte applicheremo il collaudato metodo semplificato fai-da-te e ce ne faremo uno tutto nostro appioppandogli una tradizione, che so, di cento o duecento anni per renderlo interessante e farlo rientrare nelle sovvenzioni regionali a fondo perduto.

Suggerirei di chiamarlo Su Appartamentu Vista Flumen, in sardo fiume si dice flumen.

In questo caso il luogo naturale di esecuzione del ballo sarà il  tinello con angolo cottura della mansarda di una palazzina abusiva edificata negli sessanta con una vista mozzafiato sul fiume, che dovrebbe corrispondere più o meno a casa vostra.

Ho detto tinello e mansarda perché per questo genere di ballo non sono richieste grosse superfici, risulta quindi adatto anche alle signore meno fortunate che risiedono in appartamenti dai cinquanta metri quadri in giù, praticamente dei buchi.

Questo ballo sardo, che non nasce propriamente in Sardegna ma dove capita, si dovrebbe fare in un numero di persone variabile a seconda di quanti riuscirete a trovarne, si va da un minimo di uno, è un po’ squallido a dire il vero, ad un massimo di quanti ne entrano nel vostro tinello, diciamo trenta, trentacinque pigiati.

I partecipanti non devono superare il metro e settanta di altezza, così sfrutteremo anche la parte più bassa della mansarda, e indossare stivaletti di capretto e pantaloni di velluto, sopratutto d’agosto.

L’arredamento del tinello dovrebbe essere rivisto con l’applicazione di ritagli di sughero alle pareti e piante di agave alternate a composizioni di rosmarino e mirto tali da ricreare la macchia mediterranea. Lasciate solo i mobili essenziali: un tavolo e le sedie nell’eventualità che qualche volta dobbiate pranzare sedute con vostro marito, ma sceglieteli di dimensioni contenute e possibilmente pieghevoli.

Eliminate poi il televisore e sopratutto il computer del consorte che non si addice alle atmosfere selvagge, togliete di mezzo infine tutti i cavi elettrici che vedete in giro e le sue scartoffie, appunti e libri. Invece se possiede canne da pesca potete portarle su dal garage, toglierle dalla custodia  e disporle lungo le pareti in modo casuale magari scrostandole col temperino e arruffando  un po’ le lenze per dare un tocco di vissuto al tutto. Aprite infine la finestra che dà sul fiume per far entrare aria fresca e ponete sul davanzale una forma di pecorino stagionato.

L’ambiente è ora pronto.

E ora i passi del nostro ballo sardo.

Ci si dispone in cerchio con i ballerini che si tengono per mano alternati uomo, donna e si  muovono con andamento circolare sempre verso sinistra. Il cerchio può essere chiuso dalla catena dei ballerini, aperto, frammentato per gruppi o coppie, dipende da quanti siete e cosa vi viene in mente.

Al centro dovrebbero stare i suonatori e almeno due tenores, se non li abbiamo utilizzeremo un riproduttore audio munito di cori tipici sardi; il riproduttore audio va poggiato su un tronchetto di quercia sughera di un metro e mezzo circa che avrete recuperato nel bosco e fatto segare a misura, intorno al tronchetto legherete una pezzola rossa e bianca.

Ricordate, mie adorate signore, che le regole di postura e atteggiamento da utilizzare nel ballo sardo sono serietà, ordine e rispetto, in quanto il ballo svolge anche una funzione terapeutica e catartica, quindi non vi circondate di amiche garrule o compagni chiassosi perché non sta bene.

La postura prevede il corpo eretto con scarsa mobilità della parte superiore ed estrema vivacità degli arti inferiori, accompagnati da tremolii del corpo e delle braccia, più la musica incede e si infiamma più dovrete muovere velocemente i piedi sempre con aria severa, come degli ossessi in un rito di purificazione.

Per un buon risultato coreografico ed un sano dimagrimento il ballo sardo andrebbe ballato per almeno quattro ore continuate fino allo sfinimento, quando il vostro amato consorte tornerà dal lavoro, a sua volta stanco morto, troverà la casa affollata dal corpo di ballo ancora più stanco e più serio di lui, tutti svaccati qua e là per terra o sul vostro lettone, non sarebbe allora male chiedergli dolcemente di tornare fuori  a comperare le pizze per tutti visto che sarete affamati e la forma di pecorino non va assolutamente toccata perché  funge da soprammobile.

E ora, buon divertimento dal sempre vostro Arch. Maestro Isidoro Polvani