Carmine

La fortuna di vivere in una città antica:
vado al parcheggio a riprendere la macchina e scorgo il portone aperto di una chiesa, niente di strano se non fosse che quel portone io l’ho visto sempre chiuso nella mia ormai lunga vita in questa città, e per dieci anni ho abitato a cinquanta metri da quella chiesa.
Entro, e mi trovo all’interno di questo inatteso spettacolo e lascio fuori il pomeriggio di pioggia e per qualche minuto mi pare di vivere in un mondo perfetto, in un’epoca perfetta e fra gente evoluta.
Appena in tempo, una foto e il portone è stato richiuso chissà per quanti altri anni.
E sono tornato fuori nel pomeriggio di pioggia

Quando un numero ti migliora la giornata

L’operatrice del 187 Telecom con un bellissimo accento veneto mi propone di passare senza bisogno che faccia niente ad un pacchetto fibra e telefono che costa il 30 % in meno di quanto pago adesso con la stessa Telecom e poi mi dice pure che ho la voce di un trentenne.
O mi prende per il culo oppure oggi è una buona giornata.
Confido nella seconda opzione.
Le ho riposto soltanto che la mia voce deve essere allenata per necessità ed aggiungo qui che è necessario se voglio registrare le mie scemenze e non passare pateticamente per un vecchio rincoglionito
Comunque adesso posso pure tornare a dormire che la giornata potrebbe peggiorare.

Avanzi di balera

All’inizio dei tempi, quando in me si stava formando l’idea di scrivere storie di ballerini e questo blog era ancora da nascere, ho cercato di documentarmi, cosa che faccio abitualmente  quando affronto un nuova materia, ed ho letto diversi libri che avevano come argomento centrale il mondo del ballo.

I più erano necci che raccontavano languide e tribolate storie d’amore, altri quasi dei manuali  tecnici, metti un piede lì sposta la gamba di là, noisosissimi, altri ancora autobiografie zeppe di foto e di sorrisi.

Poi ci fu l’incontro fulminante con “Avanzi di Balera”, e già il titolo era tutto un programma, e fu lì che decisi di scrivere di ballo, sulla falsariga di quel libro e da esso traendo ispirazione costante e la giusta prospettiva per inquadrare quel mondo fantastico popolato di musica e salti.

“Avanzi di Balera”  di Beatrice Benelli

Edizioni Il Mulino – 2001

Attenzione, il libro non è più in commercio ma lo si trova ancora su IBS usato a un prezzo scontato, affrettatevi sono le ultime copie.

Ora voi direte: ma che ce lo dice a fare dal momento che è fuori produzione ? visto che non lo si può comperare in libreria è inutile parlarne. Vero.

Ma io ne parlo sempre volentieri perché è il mio testo di formazione sul ballo, il mio Corano, la mia Bibbia, è il vademecum, il manuale delle giovani marmotte e l’agenda di lavoro, il prontuario e la guida. Lì ho trovato  tutto quello che dovevo sapere prima di avventurami a scrivere cose di balere.

Riporto dalla quarta di copertina “Il ballo, i suoi luoghi, i suoi riti come perfetta metafora dell’esistenza umana, perché quando si entra in una sala da ballo, sia pure per quel breve arco di tempo e in quel luogo circoscritto, ci si esibisce, ci si confronta, ci si mette alla prova, cercando di ballare e di dare il meglio di sé, senza rivelarsi troppo e subito, in una sorta di manipolazione giocosa e innocua.

Quello che conta è mantenere tutto su un piano di sostanziale non-compromissione, consentendo tuttavia a sé e agli altri lo spunto per una prosecuzione. Si impara molto in balera: si impara a conoscere se stessi, a fidarsi e a diffidare, a osservare e a essere osservati, a osare e a ritirarsi al momento giusto.”

Il mondo dei ballerini e delle balere visto con la lente di ingrandimento di una affermata docente di Psicologia che è allo stesso tempo una appassionata di balere e di competizioni.

Ci sono dentro la professionale freddezza della donna di scienza, un caustico spirito di osservazione e la passione della ballerina.

In questo libro si può trovare un po’ di tutto: ci sono le origini storiche dei balli, trucchi e ritratti, descrizioni di ambienti, analisi psicologiche e sociologiche, ricordi personali e consigli per l’uso. Chi non frequenta più i locali da ballo ritroverà in queste divertenti pagine un’atmosfera amata, chi dal ballo è incuriosito troverà una spinta briosa per muovere i primi passi e chi ne è dentro vi ritroverà molto di sé.

Se siete qui a leggere queste note e vi piace il mio blog siete pronti per un salto di qualità ed affrontare qualcosa di più completo.

Un paio di anni più tardi, grazie a questo  blog,  siamo stato invitati mia moglie ed io a TV 2000 per una trasmissione sul ballo e nella sala di attesa del trucco chi ti vado ad incontrare, insieme ad un tanguero e un fisarmonicista ? nienntepopodimeno che…..  la professoressa Beatrice Benelli in persona che poi era il filo conduttore della trasmissione, l’esperta !

Non vi posso descrivere l’emozione che ho provato: non avevo la più pallida idea che ci sarebbe stata, ma naturalmente avevo il suo libro con me e appena gliel’ho  mostrato per un autografo è nata una simpatia che poi si è tradotta in una piacevole frequentazione epistolare che prosegue tuttora e che mi conforta nei miei esperimenti narrativi: se una cosa che scrivo piace a lei sono tranquillo.

 

20.000

Eccoli, ci siamo arrivati !

20.000 visitatori !!!!!!

sono tanti, tantissimi, impensabili, inimmaginabili, goduriosi, fantastici.

Sono felice.

Un’avventura iniziata qualche anno fa per gioco e che per gioco continua ma con numeri così impegnativi che richiedono una mia maggior costanza: cazzeggiare va bene, ma c’è qualcuno che viene qui volentieri e merita grande impegno da parte mia e non solo quando mi sfrulla per il capo.

Grazie a tutti voi che anche se per sbaglio siete passati su queste pagine, anche a quelli che cercavano il mio omonimo “Gianfranco Lotti stilista di pelletteria” e che si sono ritrovati su questo blog assurdo, anche a quelli che cercavano notizie sul vero ballo sardo o  su “A Diosa” e sono rimasti delusi o agli amici che, un clic oggi ed un clic domani, hanno alzato il numero dei visitatori, agli anonimi e a coloro che con i loro commenti hanno elevato la qualità del racconto.

Nessuno mi ha offeso e in questi anni di social scatenati e sregolati in cui ognuno si sente in diritto di sparare impunemente sentenze, minacce e cazzate  è già molto. Quanto meno i miei lettori sono persone ragionevoli ed educate, scusate ma non è poco, sono orgoglioso di voi.

Continuiamo assieme, vi prego

 

Patriebalere su Spreaker

Patriebalere sbarca su Spreaker la piattaforma  web con la quale è possibile creare e condividere contenuti audio, live o podcast, un contenitore nel quale pubblicare liberamente le mie scemenze,  una radio libera e personale sempre a disposizione.

Si comincia con il primo episodio de “La posta del cuore di Ivano Libanore”.

Si tratta di  richieste di consigli sentimentali rivolte a Ivano Libanore, un ex maestro di ballo e gran puttaniere che ha vissuto tempi migliori e si trova adesso a trascorrere una malinconica vecchiaia  in un istituto di  suore (diciamo sorelle per non offendere le suore)  assieme a un invadente compagno di stanza di nome Romolo.

Il linguaggio è un pochino scurrile, direi abbastanza, con dovizia di pudende. Ogni riferimento a cosa o persone reali è puramente casuale ma mi piacerebbe  che non lo fosse.

E’ un esperimento e come tale lo dovete prendere.

Per ascoltare l’episodio clicca sull’icona qui a lato

P.S. per gli anonimi criticoni; io mi sono divertito moltissimo e questo mi basta.

 

Preghiera d’agosto

Il primo lato del bagno in mare va dalla sassosa spiaggia dell’insenatura fino al limite destro della scogliera: qualche centinaio di bracciate per aggredire il freddo dell’acqua con  i muscoli che lentamente si distendono e il calore del corpo che si assuefà alla temperatura del mare. Ha inizio così il mio quieto viaggio.

Si va verso i banchi di sabbia che danno al fondale un colore verde smeraldo in contrasto con il bruno azzurrato delle rocce. Le brevi distese di sabbia bianca si adagiano a una profondità di quattro metri e fanno da guida per proseguire: mantenendomi sul loro lato destro  vado nella direzione corretta .

Durante questa parte del bagno mi piace contare, da uno a cento, respiro dopo respiro, e poi daccapo da uno a cento, e poi ancora. Concentrato sulla inevitabilità dei numeri ogni altro pensiero si affievolisce fino a scomparire, arrivato a trecento sarò in prossimità degli scogli affioranti della punta del promontorio, fuori dallo sguardo di coloro che stanno a riva.

Mi fermo e sollevo la testa: vedo solo la superficie ondulata dell’acqua e gli scogli, mi sento solo e libero.

Non mi piacciono quelli che si mettono seduti sulla riva e lanciano con noncuranza sassi in mare uno dopo l’altro, come un sopruso: un sasso sta in acqua o all’asciutto da centinaia di anni secondo un lento disegno, un lembo di corrente o la risacca dell’inverno hanno agito per lui magari spostandolo ogni volta di qualche centimetro, poi arriva un sconosciuto e stabilisce proditoriamente di alterare l’equilibrio naturale.

Non mi piacciono neppure quegli apprendisti castori che costruiscono piccole dighe di sassi ostruendo il flusso spontaneo della corrente, non mi piace chi parla a voce alta,  chi sente la musica in spiaggia, non mi piacciono i bambini sulla spiaggia e chi fa cagnara, insomma quasi nessuno mi piace che venga a disturbare la perfetta quiete che ho trovato in questo luogo.

Perciò sto bene in acqua.

Occorrono sette/otto minuti per fare questo tratto di mare, secondo il movimento delle onde e l’energia di quel giorno fino a doppiare la punta degli scogli bassi. Sulla destra appena passato lo sperone di roccia c’è una minuscola rientranza di sabbia incapsulata fra gli scogli, è il punto dove, se mi va, posso poggiare i piedi a terra in un ultimo fugace contatto con la terraferma.

In solitudine mi avvio alla meta successiva: il piccolo promontorio che protegge l’imbarcadero turistico, i pontili galleggianti che vengono montati in estate su un lato esposto del golfo, un ormeggio privato che deturpa la magnifica insenatura del paese, e che già non basta, non basterà mai, vorrebbero un porto turistico anche qui per farne un ricettacolo di motoscafi e gommoni più di quanto già sia adesso.

Questo pensiero mi segue mentre percorro la distanza bordeggiando la riva per timore dei gommoni a noleggio che sfrecciano trenta metri più al largo; sulla destra si affacciano quattro belle case tra i pini, ma solo due hanno l’accesso al mare con i gradini intagliati nella roccia, non ho mai visto nessuno fare il bagno in questo specchio d’acqua.

In questo tratto osservo il fondale attratto dal movimento imprevedibile dei pesci, ma  è la parte che meno amo, è faticosa, bracciate che servono solamente ad allungare il percorso; ci vogliono dieci minuti per arrivare a alla scogliera che nasconde le barche ormeggiate, però quando sono qui alzo lo sguardo e ciò che vedo mi piace: sono al punto più lontano del mio viaggio, da qui potrei tornare a casa a piedi risalendo il sentiero.

E invece si riparte per ritornare indietro nello stesso percorso fino a doppiare nuovamente la punta del primo promontorio quello che dà sulla nostra spiaggia, la cala triste come una volta l’hanno chiamata, che di triste non ha niente, io la chiamerei cala della solitudine o della riflessione o del silenzio o forse dei cani giocosi e remissivi che frequentano questo angolo di costa rocciosa, ma certamente non triste

Un tizio veniva qui tutti giorni con la moglie: lei sedeva al sole, lui camminava lentamente fra i sassi assorto, soppesando l’area con un lieve socchiudere degli occhi. Poi, con metodo e pazienza certosina, sovrapponeva pinnacoli di pietre una sull’altra poggiate sugli scogli, creando dal nulla magnifiche sculture, incastri e sostegni naturali, pietra con pietra, dalle forme slanciate come un vortice verticale, stalagmiti poggiate in un equilibrio prodigioso, minareti  disseminati in maniera scenografica.

La moglie lo guardava compiaciuta e un po’ rassegnata alla geniale follia del marito, ogni tanto indicando con la mano e con complicità una pietra utile alla costruzione.

Il rito si ripeteva ogni giorno, costruiva questi menhir dalle fondamenta incerte miracolosamente eretti sul niente, stabili nella loro effimera precarietà, come un segnale per i bagnanti di passaggio.

Il giorno dopo li ritrovavamo disfatti, … hop…. le torri erano misteriosamente franate.

Accadeva che, come in uno specchio concavo, un alter ego contrapposto, un signore attempato faceva il suo giro serale e abbatteva con cinismo e meticolosità ciò che l’altro aveva costruito con perizia, contrapponendo la gravezza della distruzione alla leggerezza della edificazione, la materia allo spirito, come chi non sapendo costruire vuol manifestare un equivoco segnale di vita distruggendo.

Ebbene, ineffabile, l’architetto dell’equilibrio tornava e, superato lo stupore del disastro, ricominciava daccapo, lentamente riparando, aggiungendo nuove pietre ad erigere nuove torri sghembe, con la solita pazienza e la solita mira infallibile degli incastri.

E di nuovo al mattino successivo le sculture erano a terra, e così via, un giorno dopo l’altro per una intera estate.

Non so cosa ci insegna tutto questo. Invidia, incapacità ad accettare ciò che non si comprende, lotta della brutalità contro la fantasia, dell’estro contro il conformismo o più semplicemente un dispetto fra anziani bagnanti, una lite nata forse lontano dalla spiaggia per banali questioni di condominio o di parcheggio.

I due signori non si sono mai incontrati, ma il maestro  dei pinnacoli alla fine ha rinunciato, ha vinto il distruttore come sovente accade, e tutti noi ospiti occasionali della spiaggia ci abbiamo rimesso un po’.

Si torna quindi a doppiare la punta e qui inizia il piacere più profondo: all’orizzonte vedo l’isoletta dei Garofani, poco più di uno scoglio che fa idealmente da limite di sinistra alla cala. Quella è la mia meta. Il ritmo ora acquista  determinazione e passione, il respiro si fa più rarefatto, senza rumore, sento il fresco dell’acqua sulla pelle, il silenzio interrotto dallo swash delle bracciate vedendo sprofondare il fondale dai tre ai quattro metri giù, giù, fino a perdersi misterioso in un baratro dove talvolta ho scorto una razza muoversi mollemente ondeggiando la coda sottile in un rassicurante saluto.

Cosa posso fare se non pregare adesso ? Riemergono vecchie preghiere a domandare pietà, aiuto, consiglio, oppure ne invento di nuove senza regole, banali,  per mantenere propositi, o folli desideri da sognare,  come un mantra, in piena intimità con la mia anima, il mio corpo e la natura e niente altro. E’ il mio pellegrinaggio interiore.

E intanto vado al massimo delle mie forze, senza guardare indietro, mai ci si volta nel percorrer lunghe distanze, spingo, onda o non onda, perché amo questo momento mentre si avvicina l’isola dei garofani, mentre lo sciacquio delle onde ritmicamente mi accompagna e finalmente sto volando !

Nuotare è la cosa che più si avvicina al volo, aria e mare fusi in una inebriante sensazione di levità, sotto di me ci sono valli e campi e paesi e non alghe, sabbia, rocce. Mi sento leggero, pulito, in sintonia con il luogo, in uno stato di benessere.

E’ il lato più prolungato del viaggio, ma dura sempre troppo poco il tratto che mi porta a toccar la punta estrema dei Garofani, quando sarò lì mi volterò a guardare con appagamento la linea d’acqua di così breve e di così intenso viaggio.

Un respiro e si torna indietro per la lunghezza della baia nuovamente a toccare per la terza volta il promontorio. Senza fretta adesso,  sollevo un poco di più la testa verso sinistra perché da questo lato ad ogni bracciata sul pelo dell’acqua si staglia il profilo di Tavolara e piegando la testa sulla destra si scorge il sole che si avvia al tramonto dietro le basse colline mentre ancora ascolto il suono dell’acqua falciata dal corpo ed ancora sento il fresco sulla pelle e tutti i sensi sono appagati e questo è un nuovo attimo di gioia, di presenza, sono vivo come mai nel resto del giorno.

E via così fino alla punta del promontorio, dieci minuti è il tempo per arrivare, un ultimo sguardo prima di cercare con lo sguardo verso la spiaggia il basso ginepro sotto il quale trovo riparo nelle ore più calde del giorno, e finalmente rientrare con lentezza esasperata dalla stanchezza e dal compiacimento, giocando con le onde in un abbandono cosciente, indugiando ancora alla ricerca di un particolare non ancora scoperto nascosto fra le rocce e la posidonia, lasciandomi trasportare languidamente dalla corrente, piano piano, fino a riva.

Certi vengono qui a caccia di polpi, le rare volte che ne ho scorto uno, piccolo, attorcigliato su se stesso come un gatto addormentato  ho guardato con meraviglia e mai avrei potuto dargli la caccia, ho dentro di me una immagine atavica di mostri sottomarini, di calamari giganti che con un tentacolo mi afferrano un piede e mi trascinano sul fondo del mare imprigionandomi nelle loro caverne azzurre,  reminiscenza di qualche film dell’orrore subacqueo.

Alla fine rientro a riva: mi sollevo dall’acqua scivolando sui sassi e mi giro indietro a guardare ciò che, immutabile, è lì, sempre, come una promessa di un nuovo appuntamento per l’indomani.

Questo è il mio modo di pregare col corpo e con l’anima. Vengo qui ogni giorno nel silenzio totale e in solitudine compio il mio percorso e non sono mai deluso, né triste o sconfortato, sono pieno di questa emozione di cui sono geloso e che oggi, qui, per la prima volta ho confidato.

Questa è la ragione per la quale non mi spiacerebbe che le mie ceneri venissero sparse in questo tratto di mare, perché qui vivo momenti bellissimi della mia vita, ammesso che un giorno lontano abbia delle ceneri  tutte mie !

Ancora su A Diosa

Eccone uno nuovo nuovo:

il 7 agosto, oggi, il signor Italo invia il suo commento a “A Diosa” ed io lo pubblico nella sezione commenti e pure qui, in prima pagina, perché è per me una grande gioia quando qualcuno mi prende sul serio. Grazie

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Io non sono sardo ma amo la Sardegna come pochi. Nella seconda metà degli anni 60 del secolo scorso ho lavorato a Nuoro per circa tre anni e sono stati gli anni più belli della mia vita. Non conoscevo “No potho reposare”, ma nel 2013 la dirigente dell’Hotel Le Rocce Sarde, a conoscenza del mio amore per la Sardegna, durante una cena che veniva organizzata per gli ospiti, chiese a due ragazzi che ci intrattenevano con i loro canti, di dedicare a me e a mia moglie una canzone in lingua sarda. I ragazzi ci dedicarono proprio “No potho reposare” e, per quanto possa sembrare incredibile, era come se l’avessi sempre ascoltata, riuscivo a canticchiarla e, non mi vergogno a dirlo, ebbi un momento di commozione. In effetti “No potho reposare” è un capolavoro e, naturalmente, trova posto tra le mie canzoni preferite.

 Italo Santopietro

Si riapre !

Sapete cosa c’è ?

c’è che dopo due anni ho riaperto il mio blog, questo blog !

E’ stato un casino di tempo passato fra faccende poco interessanti che mi hanno tenuto impegnato, è anche successo che insieme al vecchio computer avevo perduto le credenziali di accesso e non sapevo proprio come fare fino a ieri pomeriggio, quando a furia di aiutini di qui e di là ed un po’ di culo sono riuscito a rientrare ed ora eccomi qua con la voglia di riprendere i vecchi discorsi.

C’erano sei commenti fermi da più di un anno, in attesa che riaprissi il blog e li  potessi leggere, due erano pubblicità (spam), quattro invece veri commenti fatti da lettori di ciccia, così generosi da spendere un pochino del loro tempo per leggere  e scrivere.

A loro sono debitore di un grazie e di una risposta che dò solo adesso e mi scuso per il ritardo ingiustificabile.

Eccoli:


Il 24 gennaio 2017 un Anonimo a proposito  di “ Lezioni di ballo fai-da-te:Ballo sardo

scrive

“Tu stai male”

 


Il 28 maggio 2017 Stefano Sanna a proposito del “A Diosa” scrive

“Primo Badore era un avvocato (senza nulla togliere ai pastori) Addiosa significa Arrivederci .. Arrivederci Amata .. perché solitamente si usa il Maschile Adidiosu . Della Poesia vi sono due Parti .. Prima parte e la seconda parte. Scusa se mi permetto è giusto per aver una miglior conoscenza delle cose della Mia terra.. Il Sini la scrisse per la Morte della adorata moglie.”


Il 17 luglio 2017 un lettore Anonimo a proposito dell’articolo: Lezioni di ballo fai-da-te: Ballo sardo scrive

“Il ballo sardo é una cosa seria, le tue parole decisamente meno. A proposito – flumen in sardo non vuol dire niente.”


Il 12 ottobre 2017 Costantino Gonario Forno Pilia a proposito del “A Diosa” scrive:

“Particolarmente felice che la canzone “A Diosa” di Badore Sini venga utilizzata per promuovere Nuoro come Città della Cultura. Io conosco una diversa (ma bellissima vicenda) sulla canzone. Intanto è vero che Badore Sini di Sarule è stato anche pastore (giovanissimo), diventato avvocato, svolse l’ufficio di “patrocinatore ” nella Pretura di Orani (a circa sei km da Sarule). Durante questo incarico, abitava a Orani in casa dei miei Nonni materni (Daniele Pilia e Tomasina Pirisi). Il non ancora brillante avvocato (ex pastore), mi ha sempre raccontato mia madre (nata nel 1905), s’invaghisce di una ragazza vicina di casa dei suoi ospiti, purtroppo per Badore già maritata. Le origini della canzone scritta sono da collocare prima del 1919, quindi Sini passa al tribunale di Nuoro e incontra il direttore della banda Civica, Giuseppe Rachel (cagliaritano, originario veneto con ascendenze nizzarde). Io conservo ancora una copia del foglietto (due pagine) con il testo sia quello indirizzato a Diosa, sia quello della risposta a Diosu, stampato nella Arti Grafiche “Velox” di Nuoro il 10 febbraio 1938 XVI.”

 


Questo lo dovevo, del resto quattro commenti in un anno non sono un  granché,  non c’è da esserne molto fieri, per questo siete per me preziosi, cari Costantino Gonario, Stefano, Anonimo e Anonimo.

A Voi amici miei rispondo cumulativamente:

  • tutti i commenti riguardano articoli (post) sulla Sardegna: mi vien fatto di pensare che i miei pochi lettori geograficamente si collochino li o che solo quando scrivo di cose sarde attiro l’attenzione. Comunque sia trascorro abitualmente un po’ di tempo in Sardegna ed ho imparato ad amarla.
  • Mi si accusa di non dire cose serie e ciò è assolutamente vero, non dico cose serie, non ho la competenza nè la presunzione di volerlo fare, preferisco stare sul leggero e un poco stupidello (ma preferirei dire surreale che è meno offensivo).
  • non sto affatto male caro amico Anonimo che hai postato a gennaio, direi che sono piuttosto tranquillo e soddisfatto di quello che faccio, anzi, questi anni di silenzio mi hanno intristito un poco, ho voglia di ricominciare a cazzeggiare. Spero tanto che non mi trascurerai.
  • A coloro che hanno messo nome e cognome nel commento ed hanno integrato ed arricchito i miei post dico solo: grazie, grazie e ancora grazie, vi prego non mi lasciate da solo con gli Anonimi.

A presto

Il posto che non c’è

 

Pistoia
Quando si balla  
liscio con disck jockey
Prezzo  
12 euro cena
Pista da ballo  
20 passi x 7 passi
Parcheggio  
Quasi nientee
Dove si mangia  
Si viene per mangiare, il ballo è un extra

Il posto che non c’è è quello nel quale ci imbattiamo quasi per caso un sabato sera grazie a un passaparola di amici-degli amici-dei conoscenti.
Non ci si arriva tanto facilmente: non ha nome, né indirizzo, né insegna, come fosse  un luogo immaginario.
Non è bello il posto che non c’è: perduto tra campi e vivai e strade sterrate senza illuminazione, è squallido nell’architettura di rimessa di attrezzi, spoglio, con arredo da quattro soldi, le luci al neon sono da capannone di lavoro, nella vita precedente può essere stato un deposito, ma anche un‘officina o un cantiere, ma potrebbe esserlo ancora. Non nasce per accogliere le serate degli allegri compagnoni, non è frivolo né pretenzioso come certe sale da ballo e certi circoli  c’è del ferro battuto in giro e delle sculture grezze in pietra, opera di fabbro o di apprendista scultore
Nel posto che non c’è si fanno le feste in casa, come  quelle della giovinezza, certo, non può esistere questo posto, è solo nella nostra memoria e in ciò che di struggente vogliamo ricordare.
Si viene per mangiare, buona cucina casalinga, buon vino, dolce, caffè ammazzacaffè, bibite a volontà. Si cena su due tavoloni lunghissimi da quaranta cinquanta posti l’uno, come alle sagre, ma attenzione  non è una sagra, non ci può venire chiunque, ci si viene solo tramite gli amici-degli amici-dei conoscenti, e poi, una volta stati qui, si diventa conoscenti, e amici degli amici anche noi.
Un tam tam di provincia.
Si fanno le dieci a tavola, poi arrivano le api operaie che sono gli stessi  che hanno cucinato e servito i piatti con gentilezza e precisione. Le api laboriose sparecchiano, buttano gli avanzi, smontano e spostano i tavoli ai lati del capannone, accatastano le sedie di plastica, spazzano a terra, insomma trasformano, mutano l’ambiente come un loft d’avanguardia, una scena da teatro di commedia. In dieci minuti,  senza tecnologia solo a forza di braccia e gambe si è fatto posto nel mezzo e una pista che non c’era adesso c’è.
E’ stretta e lunga, sette passi per venti, meglio di tanti locali, piastrellata e liscia. Qualcuno sparge talco in un angolo per far scorrere le scarpette da ballo,  le luci al neon da officina  si spengono e come per magia subentrano poche applique artigianali, il sole e la luna, nuvole in ferro rosso.
Nella penombra tutto assume un nuovo colore, di intimità, qualcuno ricorda ancora quando di spengevano le luci e si ballava al buio cercando il primo contatto con la guancia della ragazza desiderata. Non c’è più bisogno del buio adesso, basta questa luce soffusa che ammorbidisce i profili delle donne e ingentilisce le pancette appesantite  degli uomini.
Un affabile signore si piazza dietro una armatura di ferraglia, credevamo fosse un deposito dei attrezzi in disuso ed era invece la consolle. Una vera consolle con casse potenti e profonde e centinaia di cd di tutte le razze e religioni, un cartello scritto col pennarello  recita “Sono bene accette le vostre richieste musicali”.
Sono pronti a tutto nel posto che non c’è pur di farci stare a nostro agio. E noi che facciamo?  prendiamo possesso !
Prendiamo possesso dell’unico divano presente, delle sedie da giardino appoggiate alle pareti, della pista da ballo, delle musiche, della confusione e delle risate, invadiamo il campo con irruenza e allegria. Si festeggia un compleanno nel posto che non c’è, cantando tutti assieme un “umpa pa zum” di valzer romagnolo ad una imprecisata signora, una alchimia misteriosa si sviluppa tra le note ed i commenti di chi mette i dischi e tra un pezzo e l’altro balla una sottile effervescenza di un dopo cena sobrio e allegro
Siamo a casa di amici, come quarant’anni fa, siamo qui per stupirci di ogni cosa, e quando accade,  se accade, basta una battuta, un gesto, una canzone o uno scherzo per ridere senza cinismo e  senza età.

Non vi dirò dov’è il posto che non c’è e che ho trovato per caso un sabato sera.
Sono geloso, non deve trasformarsi in un locale qualunque, è un luogo dell’anima, dei ricordi profondi e vecchi,  delle sensazioni leggere e positive, lo si guadagna solo desiderandolo. E’ un segreto che riservo ai miei amici del cuore.
Altrimenti potreste dire che è brutto e squallido, oppure  che non è un trattoria né una sala da ballo, che non è niente, che non c’è parcheggio e che è fuori moda.
Quando ce ne stiamo andando, già indossati i soprabiti, il posto che non c’è regala un’ultima sorpresa: le api laboriose e instancabili montano il karaoke ed iniziano a cantare tutti insieme “Arrivederci Roma”, hanno ancora voglia di godere la serata.
Cosa avreste fatto voi  se fosse stati lì con noi ?

Radionotes from NYC: So close … so far – Così vicino….. così lontano

380 Mountain RdUnion City, NJ 07087, è l’indirizzo delle Troy Towers, le torri di troia per dirla in italiano, un palazzone di 22 piani edificato nel 1966, convertito in cooperativa nel 1983.

Sono  stato a vedere le Troy Towers, ci ho provato almeno, perdendomi tra le linee dei New Jersey Transit  Bus tra Hoboken e Boulevard East. Ci sono stato in un giorno di pioggia fredda. Una giornata decisamente diversa.
E per quale motivo un turista da strapazzo come me dovrebbe sprecare uno dei pochi giorni di vacanza per prendere un pulman ed andare dall’altra parte del fiume a vedere un palazzo anonimo o una strada come mille altre ?
La colpa è dei lunghi pomeriggi autunnali, in casa da solo davanti al computer e alle magie di internet. Piano piano lentamente  era cresciuta in me  una strana pazza idea, ah benedetto internet che dischiudi gli orizzonti del mondo, ero curioso di vedere il posto, la location, come si dice qui. Ci sono diversi appartamenti in vendita alle Torri, a buon prezzo in dollari, a maggior ragione a buon prezzo in euro, dai bilocali in su per tutte le tasche. E perchè non provarci ? Pazza idea ho detto !

Le torri offrono tutto quello che l’inventiva e le necessità americane richiedono a un grattacielo: lavanderie, parcheggi, piscine, saune, portineria, vigilanza, garage centri benessere e soprattutto un surplus di panorama …..a spectacular views.
Eh si ! le torri si affacciano sul fiume Hudson da una considerevole altezza abbracciando tutta la costa di Manhattan, dal ponte George Washington su a   nord,  giù giù fino in fondo, oltre Chelsea verso Battery Park e la statua della Libertà
La vista è semplicemente spettacolare. Unica. Fantastica.

Cavolo comperare qui potrebbe esser un’idea rivoluzionaria  e furba, proprio da noi furbetti provinciali. Ricerca spasmodica su internet da casa a lavorare di fantasia fantasmagorica. Trovato tra tanti  un bilocale moderno con fiammante parquet trasversale, luci soffuse, angolo cottura e arredamento minimalista chic, terrazza chiusa  e 28 metri quadri di grandi vetrate, di luce su un panorama mozzafiato, da terra a soffitto sembrava quasi di toccare i grattacieli dallo schermo del mio Acer. Questa casa è la mia! Dovevo vedere coi miei occhi, dovevo sapere.

E così venni e vidi e non vici….
Non vinsi niente perché niente c’era da vincere alle Troy, che sennò tutti ci andrebbero.
Le Troy da vicino, e neppure tanto vicino, sono un pochino consunte, scrosticciate, la location e un suburbio trafficato da periferia e per il centro bisogna passare dal tunnel che costa una cifra ed è congestionato a tutte le ore e la coda si forma  proprio vicino sotto casa e siamo in New Jersey, qui non ci sono turisti,  un altro stato, un altro mondo.

Dai moli di Manhattan le Troy Towers si stagliano vicine sovrastando la basse costruzioni costiere del New Jersey ammiccano “siamo qui, basta un salto, basta passare il fiume …. vieni”  richiamano come sirene.
Dall’altro lato dell’acqua e del mondo, dalle Torri,  la mela  e lì a portata di sguardo vicina molto più vicina rispetto a tanti quartieri della stessa Manhattan … ma non è la stessa cosa.

Mannaggia questa è la mela del paradiso terrestre: da guardare  e desiderare e non poter  toccare. Ma io la mela me la voglio godere,  la voglio assaporare, la voglio vivere, io la mela la voglio mangiare.
Per questo le Troy non mi piacciono più,  dentro il paradiso ci voglio stare, non voglio vederlo in cartolina.

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