Abbecedario delle gare di ballo – 2012

Ripubblico volentieri un articolo giù uscito su questo blog il 31 gennaio 2012, una vita di ballo fa.  Me ne ha suscitato il desiderio una e.mail che ho ricevuto oggi dalla professoressa e scrittrice Beatrice Benelli che mi onoro di chiamare amica di penna. Mi ha ricordato gli inizi della mia avventura di ballerino, suscitando grande nostalgia di quei tempi.  Eeeh si……gli anni passano !


Amici
Ovvero della evoluzione della specie: i vecchi compagni di ballo relegati a quel ruolo e a quella condizione si sono col tempo evoluti in amici affettuosi, ed è bello constatarlo.
Come Adriano & Manola che fin dalla prima sera hanno creduto, non si sa come, nelle nostre possibilità e ci hanno trasmesso quella cosa evanescente e fondamentale che si chiama entusiasmo, tanta fiducia anche quando non riuscivamo ad alzare i piedi da terra e diventavamo matti in quell’angolo di sala nel tentativo di capire la posizione del tango.
Amici come quelli che ci seguono e hanno fatto il tifo per noi, con calore  e partecipazione sincera, senza gelosia, senza invidia, timidi segnali di un mondo perfetto.

Animale da gara
Il mio primo maestro  diceva che noi siamo animali da gara perché rendiamo più sul parquet delle competizioni che in allenamento.
A parte il fatto che mi sembra naturale che ci si alleni per esprimersi al meglio durante la competizione e a parte che dobbiamo ancora dimostrare tutto, devo dire che il termine mi fa piacere, ma al contempo mi suscita anche associazioni idiomatiche di dubbio gusto come: animali da combattimento, bestie da corsa, cavalli da tiro, asini da soma, cani da guardia o animali da pelliccia.
E’ un complimento ?

Animale da gara due
Il mio primo maestro  diceva che noi siamo animali da gara perché rendiamo più sul parquet delle competizioni che in allenamento.
Ne ero convinto anche io, mi sa che mi sono autoportato sculo.
Siamo animali e basta !
PS
Queste due definizioni vanno usate alternativamente secondo come si è svolta la gara più recente.

Autostima
L’autostima  è il processo soggettivo e duraturo che porta il soggetto a valutare e apprezzare se stesso tramite l’autoapprovazione del proprio valore personale fondato su autopercezioni. La parola auto-stima deriva appunto dal termine “stima”, ovvero la valutazione e l’apprezzamento di se stessi e degli altri.
I ballerini devono avere una grossa autostima, pomparsi al massimo insomma, per trasmetterla agli altri concorrenti e ai giudici ed impressionarli favorevolmente.
Il livello di autostima varia secondo l’inclinazione caratteriale e i risultati conseguiti.  A  parte i pochi che stanno in cima perennemente, ma loro sono “super”, i ballerini normali salgono sull’ottovolante del bene/male a ottobre e ne scendono a maggio, una settimana su, l’altra giù.
Autostima impazzita come un sismografo sul vulcano in eruzione.
In questa fase siamo in bassa pressione: encefalogramma piatto, morte clinica  del ballerino. Speriamo che Barbara ci pratichi l’elettrostimolazione.

Bagni
Una notiziona: esistono i bagni nei palazzetti!  In genere sono due o quattro, intendo quattro tazze del cesso e quattro lavandini, due specchietti e, certe volte, un paio di docce.
A parte che non si capisce l’utilità delle docce se non  stanno dentro gli spogliatoi, faccio un semplice calcolo.
Le gare di ballo durano una giornata piena dalle nove di mattino a mezzanotte con un turnover di ballerini, maestri, parenti, curiosi e venditori ambulanti incessante. Gireranno duemila persone e fra queste ballerini pertinaci che si fanno l’intera giornata come per penitenza.
Duemila persone per quattro water fanno una media di cinquecento minzioni (pisciate) al dì cadaun cesso, quando va bene. Io per esempio soffro di emotività vescicolare per cui devo andare in bagno ogni ora.
Può un gabinetto restare a lungo pulito, fornito di carta igienica e accettabilmente giovabile? Certochennò !
La  carta finisce a mezzogiorno, dal primo pomeriggio si trovano tracce di alternative alla carta sul pavimento, assieme ad altra roba non identificabile, a sera per entrare dentro sono necessarie le calosce.
A mezzanotte è meglio farla all’autogrill o riportarla a casa (quelli che ne sono capaci).

Ballerine
Amo le ballerine di tutte le categorie età e classe.
Mi affascinano soprattutto quelle avvolte nei vestiti lussureggianti di piume e paillettes con scolli fino al culo e nudità  mascherate da corpetti color carne.
Mi piace guardarle da lontano mentre ballano leggiadre e sorridenti con grandi trucchi, bouquet e strass e maniche volanti da trapezista.
Poi mi piace avvicinarmi a  bordo pista nel momento in cui escono arrossate e affaticate, allora riconosco la zia gina, la sora geltrude e la verduraia del mercato ortofrutticolo nella loro naturalezza.
Le meno giovani mi piacciono sopra ogni altra cosa: sono una vera scoperta di cartilagini nascoste e di rughe camuffate. Mi pare di esser un bambino al circo. Amo queste grandi donne che sfidano col sorriso sulle labbra tempo e forza di gravità.

Ballerini
Si tratta di un fenomeno singolare: siamo in compagnia di ballerini e tu inizi a raccontare le tue difficoltà o le tue esperienze di ballo, tutti fanno grandi cenni di assenso con la testa come a comprendere, invece stanno pensando esattamente ai cavoli loro, stanno elaborando i loro problemi di ballo le loro esperienze fregandosene delle tue. Così quando apriranno bocca anziché risponderti o  intervenire con  senso logico sul tuo discorso si metteranno a parlare  di quelle che sono le loro difficoltà o le loro esperienze proprio come se tu non avessi mai parlato.
Da ciò ho acquisito la convinzione che il ballerino maschio ha sviluppato in sé un senso di egocentrismo assoluto.

Barbiere
Nella nostra classe di ballo le donne si truccano poco: fondotinta, ciglia, rossetto e basta, gli uomini niente, tutto al naturale.
Eppure……. dopo venticinque anni ho tradito Gianni, il mio barbiere, con Riccardo il barbiere dei ballerini della città.
Cosa ha di speciale: nulla ! ma qualcuno gli ha disvelato una teoria su come portare la capigliatura in gara di ballo, lui ha imparato e la fa a tutti così: sfumatura alta con la macchinetta, corti dietro le orecchie, gonfi ai lati, corti davanti con la  divisa pronunciata, gel e fissativo, non fa nemmeno lo shampoo e costa meno degli altri, il buon  Gianni inorridirebbe.
Eppure, eppure ……, uscito da Riccardo mi son guardato allo specchio e mi sentivo più ballerino che mai, una sottospecie di Mirko Gozzoli attempato e con qualche chilo di troppo.

Body
La camicia da ballerino mascolino è aderente e soprattutto deve stare calzata dentro i pantaloni affinché non si produca in sbomboli antiestetici, la soluzione ideale è perciò acquistare una camicia elasticizzata a body.
Le camicie body da uomo, che chiameremo per semplicità “bodyman” dovrebbero finire con due lembi chiusi sotto il cavallo tramite bottoni.
Esistono però altri bodyman diciamo più sbrigativi ovvero che non hanno i bottoni perche sono semplicemente cucite, saldate, murate sotto al cavallo di cui sopra.
Questi bodyman si indossano ovviamente sopra agli slip e prima dei pantaloni perche occorre inguainarsi dentro come in una tuta da record del mondo di discesa libera.
Sul momento non mostrano alcuna differenza con le altre bodyman con i bottoni e quindi appare  una scelta del tutto indifferente. La differenza emerge quando scatta il bisogno corporale da gara di ballo, tipico fenomeno urinario legato a giornate particolarmente lunghe, palazzetti freddi o emozione da pista.
In questo caso  ci si rende pienamente conto dell’errore commesso in fase di acquisto perché si prospettano due sole alternative praticabili: denudarsi completamente o rufolare per un quarto d’ora alla ricerca del pertugio corretto per svolgere la primaria funzione vescicale.
L’evidenza della scelta completamente sbagliata affiora ancor più drammaticamente quando il bisogno corporale sia di natura intestinale e irrefrenabile, dunque non procastinabile.
In questo caso neppure il mago Houdini riuscirebbe a districarsi senza fare danni irreparabili.
La mia è una tragica esperienza di vita vissuta, il mio consiglio agli aspiranti ballerini è pertanto quello di verificare con attenzione le vie d’uscita di una camicia da ballo prima dell’acquisto.

Bisogni corporali
Vedi la voce Body
L’esperienza insegna che è preferibile adottare una corretta alimentazione pregara a base di astringenti vari quali riso, nespole, limoni, banane, allume di rocca, ceralacca, gesso, silicone e cemento a pronta.

Campionato
Le gare di campionato italiano di ballo per le varie categorie sono sei e si effettuano nel periodo che va da ottobre a giugno, l’ultima, la più importante, si svolge nei padiglioni della fiera di Rimini, le altre sono disseminate in giro per l’Italia suddivise per fascia di età.
Ad esempio il campionato italiano per una determinata classe può svolgersi nelle tappe di Udine, Olbia, Velletri, Catania, Verona ed infine Rimini.
Come si evince non si tratta di trasferte agevoli per distanze e costi. Il popolo dei ballerini è costretto a sostenere sacrifici notevoli per partecipare a tutto il circuito, così più comunemente si partecipa alla finale di Rimini e ad una delle tappe più agevoli in quanto due gare sono sufficienti per la classificazione ufficiale.
Due volte  abbiamo optato per una trasferta lunga che prevedesse l’avvicinamento alla destinazione di gara il giorno precedente al fine di evitare stanchezza e stress e quindi rendere di più.
Si è trattato di due fiaschi clamorosi e costosi, così abbiamo deciso che anche se la prossima gara di campionato si dovesse svolgere a Stoccolma partiremo la mattina presto (molto presto) e non dormiremo più fuori.

Chilometri
Chilometri di autostrade tra un trofeo e l’altro, quando siamo con i nostri amici sono un piacere il viaggio, le chiacchiere, la tensione e tutto funziona meglio, quando siamo soli tendiamo a rilassarci come in un week-end vacanziero e non va affatto bene.

Comunità
La comunità dei ballerini da gara si divide in due categorie: i rivali, ovvero quelli che gareggiano con te, e gli altri, ovvero quelli che guardi con piacere e per i quali fai un tifo forsennato e disinteressato.
Non saprei esattamente chi siano i miei rivali, li ho visti di sfuggita, quando ballo manco so dove vado io figuriamoci se guardo gli altri, dopo ho guardato meglio e ho individuato tre o quattro coppie odiose da uccidere, devo assolutamente trovare il modo.
Gli altri mi stanno tutti simpatici, almeno fino a quando resteranno altri.

Cose che per vari motivi non si possono fare durante una gara di ballo
Salutare il giudice che è anche tuo maestro di ballo
Girare contromano durante la gara, ovvero in senso orario
Entrare in pista saltando a piè pari la transenna
Uscire di pista saltando a piè pari la transenna
Mangiare un panino sul parquet (e far cadere le briciole)
Perdere il parrucchino in un veloce link nel tango
Mollare un ceffone (spintone/cazzotto/calcio) alla tua partner perché ha sbagliato un passo
Come sopra verso il tuo partner maschietto
Scoregggiare

Dar contadino
Succede che dopo una brutta prestazione in pista il morale crolli sotto i tacchi vellutati delle scarpette fino a venir voglia di mollare tutto, tornare a casa e darsi al rassicurante sport del divano con vista tivvu.
Siamo delle merdacce inutili e abbiamo fatto quattrocento chilometri per fare una figura squallida, pensiamo. Il nostro maestro ci guarda più imbarazzato di noi tentando di trasmettere fiducia in un domani migliore, ma non ci crede manco lui.
Mortificazione e conclusione terribile “siamo dei perdenti naturali”, il gradino più basso della specie dei ballerini da sala.
Merda merda merda !
Poi a mezzogiorno una decisione improvvisa: andiamoci a fare una mangiata ai castelli romani, per fortuna siamo vicini ai castelli romani !
Così Monica Marco ed io ci facciamo un piattone di spaghetti “der contadino” specialità di Albano consistente in un mix di arrabbiata e carbonara con guanciale, panna, uovo, pepe e pomodoro, il tutto annaffiato da bianco de li castelli.
Una bomba energetica, una iniezione di carboidrati a pressione.
Due ore dopo siamo tutti più sereni e vediamo la nostra sconfitta con altri occhi.
Un piatto di pastasciutta  potrebbe cambiare il nostro destino danzante.
Concorrenti depressi e scoraggiati dalle sconfitte vi segnalo la cura taumaturgica:
Dar Contadino  –  Via Appia Nuova 47  – Albano Laziale – chiuso il mercoledì.

Emozione
Una gara di ballo non procura grande emozione, né tensione, né ansia, niente di speciale, né più né meno che giocare una partita di calcio a Wembley, una discesa libera a tutto spiano sulla Saslong o una gita fuori porta sul sellino posteriore della moto di Valentino Rossi, che altro potrei dire ? una semifinale del Roland Garros ? un acuto alla prima della Scala ? una discesa in parapendio ? i fuochi d’artificio la notte di San Silvestro ? un esempio vale l’altro, l’ho già detto, niente di particolare.

Fatalità
Se ……, se ………, se ……., se Paola non fosse andata al mercato quel mercoledì mattina, e se non avesse fatto quella strada a quell’ora esatta, se per strada non avesse incontrato  mia moglie dopo anni, se non l’avesse invitata a un nuovo corso di ballo per la sera successiva, se non le avesse raccontato di un buon gruppo, di maestri simpatici, di un bell’ambiente.
E se mia moglie e io non fossimo stati liberi proprio quella sera e se ovviamente non fosse stato il momento giusto dell’anno giusto della costellazione giusta ……. adesso non sarei qui a scrivere, noi non saremmo là a ballare e questo mondo da quarta dimensione sarebbe ancora invisibile ai nostri occhi.

Felicità
Finire il primo ballo della serie consci di aver fatto quanto sappiamo senza errori e scontri è come segnare un goal decisivo su rigore al novantesimo. Pura, innocente felicità. Ebbene si, la si può provare anche a una certa età e per queste cose qui.

Giudici
I giudici di gara sono vestiti di nero con la cravatta nera e la camicia bianca, sono numerosi, molteplici e moltiplicanti, ce ne sono per tutti i gusti, giovani, vecchi, belli e brutti e femmine fatali dalle lunghe gambe, sono tutti ballerini o ex ballerini o maestri. Sono serissimi, incorruttibili e tutti presi dalla loro missione che, guarda caso, è quella di giudicare.
Ti guardano e ti valutano in dieci secondi, non hanno più tempo da dedicare ad ognuno, e in quei dieci secondi, che non sai assolutamente quali saranno, dovresti essere perfetto come postura, portamento, tempo e espressività.
Questione di culo di beccare i dieci secondi giusti per chi non è già perfetto di suo.
Non so come fanno i giudici a reggere due giorni di giudizio, ballo e musica devono uscirgli dalle orecchie e devono averne le mutande piene.  Se io fossi un giudice dopo un’oretta comincerei a dare voti a casaccio, tanto per passare il tempo o voterei solo le donne discrete, o gli amici degli amici, ma quelli veri non faranno così vero ????

Infermiera
C’è una coppia di ballerini bravi che gareggiano con noi. Non sappiamo  come si chiamano né di dove siano.
Mia moglie, che è anche la mia partner di ballo, qualche tempo fa  ha appioppato a lei la definizione di infermiera in senso non proprio amichevole perché le fa venire a mente una persona inappuntabile, precisina, tutta seria, severa, insomma più una caposala. Un  personaggio antipatico e un poco invidiato, una che non sbaglia e non sgarra mai. Da allora per noi è diventata l’”infermiera” e basta, un  po’ altera un po’ gestapo.
Sono più bravi di noi e ci cenciano. Bisogna avere un obiettivo nella vita e l’infermiera è il nostro, lui non conta !

Lacca
E’ quella sostanza vischiosa con la quale la nostra Barbara bombarda la testa della mia partner perché sostiene che i capelli in gara devono stare così!
In effetti le viene una testa da ballerina, ma non sembra più mia moglie.
Pare un manichino di maxmara.

Lezioni
Per mettersi in  condizione di partecipare alle gare e non franare paurosamente è indispensabile prendere lezioni private di ballo.
Prerogativa dei maestri di ballo è evidenziare puntualmente con sadismo ogni minima cosa che non va, ergo, ad ogni lezione si esce con la sensazione di essere peggiorati rispetto alla volta precedente, oppure di essere stabilmente statici, stazionari, inalterati, immutabili  e anche un poco zucconi, insomma di non aver capito niente e di aver gettato tempo soldi e passione.
Capita anche di trascorrere un’allegra ora a provare e riprovare una singola figura, magari  senza musica, ogni volta con un particolare da correggere, appena se ne sistema uno se ne scombina un altro, da far cadere le braccia !
Ci vuole pazienza da parte nostra e del maestro che mentre ci guarda zompare pensa alla pastasciutta che mangerà fredda anche quella sera, occorre tenacia e tempo e fiducia in se stessi e in chi insegna.
L’efficacia dell’apprendimento la si verifica solo in gara e qui la costanza alla fine paga.

Marchetti
Il Marchetti è un buon ballerino e ottimo compagno, siamo amici e solidali nella buona e nella cattiva fortuna danzante.
E’ il prototipo umano delle montagne russe emozionali: un momento è convinto di vincere qualsiasi gara, un minuto dopo pessimista fino all’autolesionismo.
Condividere il tempo degli allenamenti con lui è tutto sommato spassoso, una volta capito che non si devono mitigare gli entusiasmi  sugli alti e neppure tirar su il morale sui bassi si sta zitti e si lascia parlare.
Durante una giornata di gara è più difficile lasciarlo andare su e giù perché l’alternanza emotiva è parossistica e si rischia di restarne in qualche modo coinvolti. La cosa migliore è mettere lo spazio di una tribuna tra noi e lui  e cercare la concentrazione.
Ci vedremo a fine ballo quando saremo anche noi dell’umore giusto per un bel giro in giostra.

Metamorfosi
Il parquet delle gare rappresenta simbolicamente il palazzo del principe nella sera del gran ballo di corte.
Negli spogliatoi restano rospi e  cenerentole, fattorini, imbianchini, cassiere e manovali, per incanto nella sala  compaiono granduchi e ambasciatori al fianco di baronesse e dame di alto lignaggio truccate a festa, maschere e scollature che abbagliano a venti metri di distanza e sconcertano a tu per tu.
Tutto è lecito nella trasformazione, ma le scarpette di cenerentola hanno la suola in sugatto e i salvatacchi in plastica.

Partner
Di vita e naturalmente di ballo. Cosa chiedere di più di una donna che segue le tue aspirazioni e ispirazioni con fiducia e senza discutere ?
Nulla, non chiedo niente di più, ci mancherebbe !!!!

Pista e mezza pista
La pista di ballo delle gare è quasi sempre il parquet di una palestra di basket dalla quale sono spariti fortunatamente i tabelloni coi canestri onde evitare capocciate dolorose.
Nelle gare nazionali si balla sempre a pista intera con numero che può arrivare a tredici coppie, è un po’ affollato, ma col tempo si impara a districarsi.
Nei trofei accade talvolta (spesso) che per far prima si gareggi a mezza pista ovvero si divida il parquet con una fioriera in una pista A e una pista B di metà dimensioni e di conseguenza si raddoppi il  numero dei ballerini i gara. In  pratica da dodici, tredici si passa in sol colpo a ventiquattro, ventisei coppie.
E’ una equazione singolare: si divide la superficie e si aumenta l’affollamento, come dire che se nel vostro appartamento di 50 metri vivete in quattro e ci state  stretti ve ne diamo due di 25 e vi ci facciano stare in otto.
Anche i giudici raddoppiano e si schierano ovviamente ai lati delle due semipiste. Il risultato è una folla da veglione di capodanno al Kursaal in abito da sera. Bellissimo. Un casino totale nel quale anche i più navigati sbarullano perdendo l’orientamento.
Può succedere di calpestare un giudice che indietreggia imbarazzato nei pressi di un tabellone, ma il massimo della libidine sarebbe iniziare a ballare nella pista A e finire nella B per vedere se qualcuno se ne accorge.
Comunque la mezza pista è un accidente per le coppie che devono decidere che tipo di tracciato seguire e come; in genere si studia il percorso prima a mente fredda, poi una volta in pista si disfa l’idea e si improvvisa pericolosamente.

Pride and honour
Onore al merito alle coppie che si sfidano nei tornei e nei campionati con serietà professionale e passione dilettantistica.
Onore a che vince con regolarità e migliora i propri limiti spostando l’assicella della difficoltà sempre oltre, con passione e convinzione, senza darsi arie, senza fare il fenomeno.
Onore a chi ci mette tutto quel che ha, onore a chi vince e si trasforma per noi in meta, in mito, in muto, in mitomuto e in metamoto ….. insomma un obiettivo da eguagliare.
E terra addosso a chi perde !

Spogliatoi
Uno dei luoghi più incredibili che mi sia capitato di vedere: bugigattoli fetidi senza armadietti con bagni ingiovabili, qualche panca e rari ganci per appendere. Tuguri presi d’assalto da dozzine di persone mature ognuna con un armamentario di bagagli, sacche, valigie, stender,  beauty e bauli da fare spavento.
I ballerini si portano orgogliosamente appresso quantità enormi di roba complicata da indossare: gonne, sottogonne, collane, calze, strass e poi frac, fasce,  giustacuori, fiocchini camicie bizzarre, scarpe affilate come rasoi, fusciacche, banderuole, giarrettiere e ancora trucchi, rossetti, ombretti, vaporetti, calamaretti da appiccicare su tutte le parte del corpo. Più uno sale di categoria più bagagli si tira dietro.
Poiché i cosiddetti spogliatoi sono scarsi e minuscoli ecco che corridoi, interstizi, angolini bui, anfratti umidi e scalinate scalcinate  si trasformano per miracolo in camerini pullulanti di signore e signori in mutande.
La vestizione è paragonabile a quella dei toreri, una cerimonia sacra da fare però nel casino generale, uno a fianco dell’altra senza pudore,
Nel tentativo di infilarmi i pantaloni ho cacciato una gamba nel calzoni del frac di un vicino mentre la sua diletta consorte agganciava il reggipetto per metà al proprio seno e per metà al ginocchio di un geometra di Busto Arsizio di classe B2. Alla fine tutto va magicamente al suo posto e le coppie, lucide e agghindate di tutto punto, salgono le scale e si presentano soddisfatte alle luci della ribalta.

Toilette

Ci risiamo, devo soffermarmi ancora sui bisogni corporali, ma il fatto è che ho sperimentato una nuova perla: gabinetto senza luce e senza chiave.
Si aprono una serie di possibilità affidate al libero arbitrio
A         si fanno le nostre faccende a porta spalancata (frequente) o almeno socchiusa
B         si fanno le nostre faccende al buio

La scelta è condizionata dal livello di pudore intrinseco nella nostra personalità e pure dal tipo di bisogno fisiologico.
A voi la scelta, ma in entrambi i casi dovremo svolgere le nostre funzioni corporali  senza poter chiudere a chiave, e  da qui si apre una nuova serie di alternative
–   si fa sorvegliare la porta da un complice (moglie, marito, passante pietoso) sarebbe l’opzione A1) oppure l’opzione B1) per chi opta per il buio
–   si sta alla sorte non facendo sorvegliare a nessuno (rischio sorpresa) ovvero opzione A2) o B2)
–   ci si siede sulla tazza del cesso tendendo la maniglia fermamente con una mano (vale per maschietti e femminucce) in questo caso è la scelta  B3)
–  si sta in piedi tenendo la maniglia serrata alle proprie spalle (vale solo per i maschietti) opzione B4)
Tutto ciò ovviamente al buio completo

E da qui un’altra serie di incognite valide solo per B3) e B4)
–     se si tiene la maniglia con la mano come si fa a spogliarsi ?
–     siete capaci di spogliarvi con una sola mano ?
–     se si tiene la maniglia con una mano come si fa a pulire quello che si deve pulire ?
–     ce la facciamo con una sola mano ?

Occorre porsi prioritariamente alcune domande filosofiche: tutti i casi B)
–      ci si è premurati di rintracciare la carta igienica in anticipo ?
–      soprattutto esiste carta igienica nelle vicinanze ?
–      saremo in grado di rintracciarla al buio pesto ?
–      dove la si è posizionata ?
Tutto questo tralasciando le aggravanti riportate ai paragrafi Bagni e Body ovvero sulla pulizia ed igiene dei locali e sull’abbigliamento del ballerino medio.

Morale della favola

E’ possibile tenere un rotolo di carta igienica in equilibrio su un ginocchio mentre siamo seduti coi pantaloni del frac abbassati su un cesso fetido completamente al buio intenti a trattenere la maniglia della porta con la mano sinistra nella speranza di fare presto e bene quel che si deve fare quindi terminati i bisogni con una sola mano srotolare la carta igienica (senza aiutarsi con i denti è ovvio) pulire quel che si deve pulire, indi rivestirsi senza sporcare i pantaloni o la camicia e rientrare in pista giusto per un giro di valzer viennese come se  nulla fosse ? (Come si evince si è optato per una B3, una delle più complesse)
Yes we can !

P.S.

Opps, dimenticavo l’ultima possibilità, la più negletta, sfacciata e scostumata: fare le proprie faccende anche le più …. corpose … a porta aperta fregandosene di tutto e di tutti. In tal caso si superano gli inconvenienti del buio e della chiave… si ritorna un poco bambini. Sarebbe una specie di doppia AA) il massimo. Vi auguro di non imbattervi mai in un tipo del genere, .. potreste sentire una vocina che viene dai gabinetti … “babboooo ho fatto ! mi vieni a pulire ?”

Avanzi di balera – uno

Sabato 3 ottobre
Trio Carbone – ingresso 7 euro consumazione compresa

Nella sala buia del Maciucambo il Trio Carbone suonava da un paio d’ore melliflui ritmi lenti da scioglimento di budella, beguine zeppe di tradimenti e cuori straziati.
In pista poche coppie si strofinavano strascicando stracche sulle piastrelle di marmo verde chiaro, le mani degli uomini alla ricerca dei culi scontrosi  delle ballerine, le labbra  a sfiorare l’orecchio in un suggerire di inviti tentatori con alito da digestione pesante.
Atmosfera immobile e fiacca, nessun nuovo amore all’orizzonte.
Ritmo di beguines.

Il Trio carbone è in realtà un quartetto: fisa, batteria, pianola e Gloria la cantante mora: cinquanta anni di seno abbondante e cosce inguainate in una tunica rosso cardinalizio con spacco inguinale.
Sono arrivati alle otto col furgone più scassato visto da queste parti, un Ford Transit degli anni ottanta giallo canarino riciclato da un rappresentante della Calvè, sulla fiancata c’è ancora la pubblicità della maionese.
Vengono da Voghera, trecento chilometri per quattrocento euro a serata più un buono per la trattoria “Sauro e Teresa” qui di fronte. Meno di un centone pulito a testa, non sono professionisti e si sente, roba di mezza età.
Musicalmente rappresenta il punto più basso del programma del mese, forse di tutta la stagione invernale, il loro ingaggio ha il solo scopo di abbassare la media che la fisarmonica di Ramazzi alzerà paurosamente.
Ermes, il nostro gestore taccagno e calcolatore, è fermamente convinto che la prima serata della nuova stagione non parta mai col botto,  sostiene che dopo l’estate va bene tutto e la gente si accontenta di quel che c’è.

Ho aperto la biglietteria alle nove, c’erano quattro coppie over sessanta che aspettavano coi giubbottini sul braccio, sorridenti e energici con una voglia di ballo da strapparsi le unghie dei piedi. Li avevo visti qualche volta, non sono di queste parti. Gentili. Temevano di non trovar posto “Siamo venuti per tempo sa, s’aveva una gran voglia di ballare” si vede che non sono clienti abituali !
La mia postazione al bancone: il blocchetto dei biglietti, la cassetta con i contanti  e i depliant col programma del mese: orchestra Misirizzi, Clorinda e i passionisti, Dado e Lucia, la fisarmonica di Lotario Ramazzi, emiliano verace di Budrio. Prezzi variabili dai sette di stasera ai dieci euro compresi bevuta e guardaroba.
A proposito di guardaroba, mi occupo anche di quello.
Biglietti e cappotti, resti, pellicce, scontrini, e programmi stampati sui cartoncini pieghevoli, questa è la mia mansione al Maciucambo da tre anni.
L’ingresso del Maciucambo è un ampio corridoio a elle racchiuso tra la doppia porta a vetri che si affaccia sulla strada e la tenda bordò che immette nella piccola sala della biglietteria, a fianco il guardaroba, di fronte ancora un breve corridoio e un arco dal quale si accede alla pista. Alle pareti manifesti di orchestre famose, la luce è discreta, più adatta al night che alla balera
Il mio angolo di vedetta: due metri per due rialzato dal pavimento da una pedana di trenta centimetri con un bancone di legno chiaro ed uno sgabello da cassiere, da lì si scende lo scalino della pedana e si accede direttamente al guardaroba.
Non mi piace tanto custodire cappotti e pellicce altrui, ma  tocca a me perche il vecchio guardarobiere gobbo Sebastiano è stato cacciato un anno fa e Ermes per contenere i costi ha appioppato il servizio a me.

Da qui intravedo uno spicchio di sala da ballo che sta appena più in là, nascosta dalla penombra, la mia finestra sul mondo.

Alle dieci e mezzo avevo staccato un centinaio di biglietti, sala mezza piena, o mezza vuota secondo Ermes,  ho dato un’occhiata panoramica alla sala e ho visto Ivo Nero che se ne stava  sprofondato sul divanetto azzurro consunto intento a scoreggiare piano, rassegnato a un‘altra serata in bianco.
Mollava tenui pete di gas naturale sollevando leggermente la coscia e intorbando  la zona circostante e intanto sorseggiava un tamarindo tramite gorgoglianti succhiamenti di cannuccia. Sapeva che nessuna essere umano di genere femminile si sarebbe avvicinato  a lui, e neppure di genere maschile a dirla tutta,  tanto valeva accerchiarsi di nube odorosa, era pur sempre  un modo per passare il tempo.
Lo so che fa queste cosette, lo sanno tutti gli habitué, per niente le poltrone attorno sono sempre le ultime a esser occupate o, come stasera, desolatamente vuote: un paio di volte sono passato vicino a lui ….. e ….. credevo di aver pestato una cacca di cane là fuori sul marciapiede, ho sollevato un piede alla volta guardando la suola ma niente, poi ho capito. Da allora giro al largo.
Tamarindo blues.

Il vero nome è Ivo Basile, ma per tutti è Ivo Nero perché anni fa lavorava in un carbonizzo e tornava a casa pieno di fuliggine e fumo. Adesso fa il bidello alle scuole elementari e non si sporca più, ma il nero gli rimasto appiccicato.
Il fratello Agesilao Basile gestisce con la Ines Togni la scuola di ballo latino “Nani e  ballerine”  ed è sempre pieno di donne.
Ivo no !
Sarà per il nomignolo o perché il viso e le mani sono veramente diventate nere o perché è timido, più probabile che dipenda dall’alone di azoto che lo circonda, ma lui non ne becca una di donne. E dire che è un tipo sentimentale.
Un sacco di volte Agesilao ha cercato di trascinarlo alle serate della scuola  per vedere di fargli conoscere qualcuna adatta a lui, ma lui è troppo riservato e troppo affumicato per sentirsi a posto in pubblico: si siede in un angolo e guarda gli altri, nella scuola, nella sala, nella vita.
Ivo e la pratica del ballo non hanno affinità: lui va solo a vedere ballare gli altri, a forza di guardare ha imparato un mucchio di cose su come ci si dovrebbe muovere, sul portamento, sui passi e i giri a destra e a manca, conosce ritmi e balli e conosce anche i programmi che il fratello fa eseguire ai suoi allievi, mentalmente li ha incamerati tutti senza mai provarli.
Non balla, sostiene di non esserne in grado e si vergogna a provare, quindi non impara mai e non saprà mai se c’è portato o meno, è un dannato circolo vizioso al quale anche Agesilao si è rassegnato.
Ivo è uno dei nostri clienti fissi: arriva dopo le nove quando ancora non c’è quasi nessuno,  passa dal bar, fa il pieno di noccioline,  ordina un tamarindo e si siede al suo abituale tavolo a pochi passi dall’orchestra in posizione leggermente  rialzata su un gradone che gira attorno al locale e dal quale si domina la pista che sta più in basso.
Raramente salta l’appuntamento del sabato sera, non l’ho mai visto ballare e non saprei dire quando ha cominciato a spetazzare in sala, non so neppure se ha queste manifestazioni anche fuori dal Maciucambo, al supermercato, a scuola o in trattoria  o se  si tratta di un privilegio che riserva alla nostra graziosa balera, forse sarà  il tamarindo, o la musica, chissà.
Il solo essere umano capace  di sopportare quella compagnia taciturna e quel tenue persistente frazio è  Enzino Gualtieri, le rare volte che viene,  un vecchio amico detto Susina per certe volatiche rosse sulle guance che gli hanno sempre reso difficile gli approcci con l’altro sesso e che tenta inutilmente di mascherare con molteplici strati di calendula.
Non è bello il Susina e neppure gran ballerino, ma un buon compagno di balera, disponibile a far tardi e con cui si può scambiare due parole.
La regola è che in sala ognuno fa  per sé e arrangiarsi, cosìcché Enzino appena entrato prende il suo posto vicino all’orchestra e inizia a lavorare di occhio, gamba, e mano pendula quando possibile.
Ivo invece si rintana sul divanetto azzurro a guardar coppie e fantasticare, mantiene un certo contegno fino alle dieci poi si lascia andare alla rassegnazione e inizia senza nemmeno accorgersene a  far vento dalle chiappe.
Fra una passata e l’altra Enzino torna al divanetto azzurro di Ivo, riprende fiato, scambia due commenti sulle donne presenti e riparte alla caccia.
Ivo va a ballare per un non ben definito scopo che sta a metà tra il gusto del movimento altrui e il desiderio di trovare compagnia, gli piacerebbe far bella figura al fianco di una ballerina, ma non capisce mai se e quando è il caso di tentare l’approccio, sempre indeciso sul comportamento con le donne, completamente diverso dal Susina che, quando riesce nell’impresa di agganciare qualcuna percorre tutto l’iter dell’approccio nel tempo stringato di una canzone.
Stasera Enzino non c’è e la noia regna incontrastata nella penombra polverosa  di questo sabato sera di ottobre.
Fuori pioggia e afa.

Alle ventitre e dodici, ora del grande quadrante appeso sopra il bar, si apre la tenda bordò e Melissa Finocchi fa la sua comparsa in un abitino corto di raso viola in bilico su due sottili tacchetti dorati dodici centimetri, le ginocchia secche avvolte in calze di rayon fucsia, i capelli platinati raccolti in una lunga coda.
Una apparizione, una ventata fluorescente che ha calamitato gli sguardi un po’ sorpresi di tutti quelli che stavano dentro al Maciucambo, una leggera scossa elettrica che ha turbato per un momento  il torpore serale, proprio lei che non si vedeva qui dentro da anni, da quando era scappata da casa col ballerino di rumba, perché si sa…..
“…. i ballerini di rumba sono dei veri rubacuori”
“Rubacuori ….. ??? diciamo traditori piuttosto  ”
“Lascia fare, non è la rumba è il conto in banca”
“Insomma la Melissa è sempre bella, però è un chiodo”
“E’ capace che abbia quarantanni..
“E quelli della culla !”
“Insomma io me la farei anche subito”
“A vedere se si rompe, o non lo vedi che è anoressica”
“No è stitica”
“Macchè ha l’adiesse”
“Si vah, ha l’adiesselle ….”
Ogni volta che qualcuno o qualcosa rompe l’equilibrio del nulla al Maciucambo si scatenano i commenti a bassa voce, e neppure tanto bassa.
Fatto sta che Melissa, che di queste cose se ne infischia, va al bar e ordina un tè verde, poi butta  un’occhiata in giro e si avvicina a Ivo, compagni di scuola e, a colpo d’occhio, lo sfigato della sala, scelta perfetta per il suo anticonformismo provocatorio.
E’ quello che lui temeva per tanti motivi, soprattutto per il torbido alone di zolfo che lo circonda. Si alza di scatto per andarle incontro, ma lei gli appoggia un dito sul petto e lo riporta con decisione al divanetto rosa. Si siede accanto a lui.
“C’è un aria strana”
“Sarà la fogna del bagno, sai in questi locali non tutto è a norma”.
“Ah può darsi.  – Come stai Ivo ? –  Ballerei volentieri sono un po’ triste. – Tuo fratello che fa ?  –  te la sei fatta una donna ?  c’è un mortorio ! – ma che odore è ??”
Melissa ragiona sempre così, parla senza dar tempo di rispondere perché fondamentalmente non sta a sentire quello che dicono gli altri, anzi non gliene frega proprio niente.
Ivo è in fibrillazione, non sta capendo più niente, ha un sussulto : “Va bene, vado a chiedere un pezzo”  E’ rimasto alla prima domanda, il suo metabolismo  cerebrale non è tanto svelto a elaborare parole a raffica.
Scuote le noccioline dal vestito blu e si appropinqua al palchetto dell’orchestra: mentre il trio attacca malinconicamente Verde Luna, lui prenota con timidezza “Colpo di fulmine” della Tatangelo.
Quello con la fisarmonica soffoca uno sbadiglio, la serata è noiosa anche per lui, e un po’ controvoglia ammicca: certo, si farà.
Ivo riprende posto, intanto Melissa è indaffarata col cellulare, sta in disparte sul divanetto presa da una conversazione concitata, una mano che tormenta i capelli. In sala molti occhi puntati su di lei, Ivo guarda da un’altra parte, soffocando l’istinto di una tranquillizzante trombettina all’idrogeno.
In pista una interminabile serie di ballabili con l’orchestra che fa quel che può  ma non si risparmia  e dà dentro agli strumenti a più non posso.: l’età media è oltre i cinquanta, coppie e abitanti della zona e vecchi compagni nostalgici della casa del popolo che una volta stava qui, al posto del Maciucambo.

Il tempo passa in attempata letizia, la pista affollata perché qui tutti sanno ballare il liscio e non si vergognano,  quel volpone di Ermes ha visto giusto, la serata non è da buttare.
Ivo è sul divano azzurro, attaccato alla cannuccia del tamarindo  e guarda e riguarda battendo il tempo con il piede, ogni tanto qualcuno si avvicina  per chiedere  se Agesilao si vedrà a far vedere come si balla davvero, ma lo fanno solo per sbirciare la Melissa al telefono, tutti sanno che Agesilao gira al largo dal Maciucambo,  Ivo sta resistendo stoicamente a rassicuranti impulsi intestinali.
E’ giunta mezzanotte, il complesso fa la pausa e attacca un cd con i pezzi da relax. Il fisa attraversa la sala, Ivo si alza e timidamente, lo blocca e gli ricorda la sua richiesta di Colpo di fulmine “Lo facciamo stai tranquillo” risponde quello che dà del tu a chiunque .
Intanto Melissa è corsa al bagno piangendo. Ma che cazzo combina ?!” pensa Ivo e pensano tutti quelli che guardano e giudicano, altre storie altre scenate.
“La vedi la Melissa ? troppa energia per questo posto  – dico a Mafalda la barista – vedrai che molla tutto e torna via”.
Dopo la pausa si riprende: faccio passare qualche ragazzotto senza biglietto, solo quelli che mi stanno simpatici, prendono il posto delle nonne che, come cenerentola, rientrano per la mezzanotte. L’orchestra attacca una serie di balli di gruppo: la pista avvampa degli ultimi fuochi.
Melissa è ricomparsa dal nulla, intruppata da sola là in mezzo alla sala a muover passi di scalera e di galena, Ivo non l’ha seguita e lei appare e scompare nel mucchio, come risucchiata dal vortice di un mambo.
Ad un tratto, quasi correndo torna al tavolo afferra la borsetta, fa ciao ciao a Ivo sfiorandogli la spalla e se ne va.
E’ così siamo quasi all’una ormai e Ivo è di nuovo solo sul divanetto azzurro,  ancora aspetta la sua canzone: poi si avvicina al complesso e fa cenno col dito alla Gloria cantante “Si ricorda, per favore….” quella fa si con la testa mentre canta con enfasi “Primo turbamento” che ha scritto con le sue mani su musica del maestro tal dei tali.
Ivo è stanco, la mattina ha lavorato a scuola e il pomeriggio ha fatto l’orto dietro casa, avrebbe anche sonno, ma la sua serata non è completa, molla una grosso peto per la frustrazione che qualcuno dal tavolo vicino capta con raccapriccio
Il Maciucambo si sta svuotando di ballerini, restano in pista quelli del corso di bachata che si strofinano stancamente al centro della sala, qualche cameriere inizia a pulire i tavoli liberi da bicchieri e bottiglie, e anche dai tavoli occupati e anche se le bottiglie non sono vuote.
Ivo si avvicina nuovamente al complesso, ormai lei non c’è più ma è un punto d’onore, la cantante lo vede e fa il cerchietto col pollice e l’indice della mano destra come dire: okay tutto a posto.

Sono le due meno dieci e l’orchestra vuole smontare e tornare a casa, i camerieri vogliono  pulire e tornare a casa, Mafalda la barista sta già chiudendo e tornerà a casa prima di tutti.  Mi chiamano al guardaroba …. altri soprabiti da ritirare, ancora qualche saluto.
Gloria la cantante  afferra decisa il microfono e lo stacca dalla base.
“E ora a gentile richiesta del nostro amico seduto là in disparte, Colpo di fulmine, e con questo brano l’orchestra spettacolo Trio Carbone vi ringrazia  e vi dà appuntamento alla prossima volta. Siete fantastici. Buonanotte.”
Parte finalmente Colpo di fulmine: Ivo seduto al suo posto ascolta a occhi chiusi con in mano il bicchiere con l’ultimo sorso di tamarindo, dondola leggermente la testa e lascia andare flebili, nostalgiche flautolenze al metanolo.
Qualcuno accende le luci al neon e illumina di un bianco freddo la pista.
I ballerini si salutano dandosi appuntamento per sabato prossimo.
Il batterista del Trio Carbone a metà brano inizia a smontare i tamburi, io chiudo cassa  e la consegno a Ermes col resoconto. Le pulizie toccano alle inservienti, sarà meglio che qualcuno domattina spalanchi i finestroni per cambiare aria.
Sono stanco, me ne torno a casa anch’io.

La posta del cuore: Gerolamo Pelo

Alla attenzione di Libanore Ivano della allegra brigata SAMBA
Il giorno 24 settembre corrente nel corso della serata di ballo liscio presso il noto locale L’Arruffapopoli sito in località Belvedere, il sottoscritto appuntato Gerolamo Pelo, fuori servizio ed in abiti borghesi chiedeva di ballare una mazurca a tale Penicucci Adele di anni cinquantaquattro, nubile, che trovavasi in quel frangente seduta a un tavolo del bordo pista della suddetta sala in apparente stato di attesa.
La citata Penicucci si rifiutava di congiungersi col sottoscritto adducendo motivi di cattiva digestione. A tale risposta negativa il sottoscritto si ritirava in buon ordine.
Dopodiché il sottoscritto si recava a piedi all’altro capo della sala citata per chiedere di effettuare un valzerino romagnolo a una donna di sesso femminile risultante essere la signorina Quiriconi Rosalba di Pietrasanta di anni cinquantasette, la quale rifiutava pur’essa adducendo come alibi di avere le estremità inferiori doloranti.  Anche a seguito di  tale risposta negativa il sottoscritto si ritirava di nuovo in buon ordine.
Dopo circa ventiquattro minuti trascorsi a guardare gli altri ballare, il sottoscritto me medesimo, già in stato di abbattimento e frustrazione per i ripetuti rifiuti, si imbatteva, proprio sulla porta della ritirata, in una signora di aspetto non troppo assuefacente, ma dotata di curve e controcurve da ritiro della patente  e le chiedeva di abbinarsi al medesimo in un tango figurato corredato di  regolamentare casqué.
La donna, le cui generalità non sono state fornite, declinava l’invito con una frase ingiuriosa nei confronti dell’Arma, nello specifico: “No, nu abballo, ma quanto si’bbrutto figlio mio”.
A tale risposta negativa il sottoscritto non si ritirava in buon ordine bensì, estratto il tesserino di riconoscimento, imponeva d’autorità il silenzio all’orchestra spettacolo Mirko e i Buttafuori, ivi operante, composta da quattro elementi più il Mirko stesso, che si stavano esibendo nella nota composizione “La trottola dell’amore”.
Afferrato il microfono del Mirko il sottoscritto ingiungeva a tutte le donne di sesso femminile presenti in sala di mettersi sedute ai loro posti mantenendo la calma e minacciando in caso contrario di richiamare la pattuglia di servizio per una retata di massa.
Una volta messe tutte a sedere, il sottoscritto iniziava a raccogliere le generalità delle signore per sottoporle a stringente interrogatorio su gusti danzanti e presenza di eventuali mariti e/o fidanzati nel tentativo di scoprire quali di esse fossero effettivamente libere.
Purtroppo, mentre stavano per arrivare i primi riscontri, sopraggiungeva la pattuglia in servizio dell’arma che, anziché, procedere al fermo dei presenti,  trascinava il sottoscritto in caserma sottoponendolo ad una iniezione sottocutanea di valium all’uopo fornita dalla squadra antinarcotici.
Il sottoscritto si chiede: c’è forse qualcosa che non va nel suo atteggiamento ?
In fede appuntato Pelo Gerolamo

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Che nostalgia dell’Arma, caro Pelo !
A onor del vero non è che io c’entri molto con l’Arma, anzi per dirla tutta fui riformato al servizio di leva grazie alla mamma che, poverina, si dette un gran daffare con il quartier generale e, tanto per non far torto a nessuno, con tutto il distretto militare.
Ricordo però che in occasione di un  carnevale di molto tempo fa ebbi la felice idea di travestirmi da generale, maresciallo, o qualcosa del genere, insomma pantaloni neri, bande rosse, bandoliera, un mucchio di alamari,  cappellone con  piuma e sciabola d’ordinanza.
Facevo un figurone perché è risaputo che le donne sono attratte irresistibilmente dall’uniforme. In quella circostanza feci coppia fissa con una ninfomane di Voghera travestita da crocerossina della grande guerra.
Sembrava di essere sul campo di battaglia, e che battaglia !
Eravamo fittamente impegnati nelle grandi manovre quando venimmo cacciati dalla festa perché nel corso delle nostre effusioni combinai inavvertitamente qualche piccolo malestro con la sciabola, che ovviamente non mi ero tolto, e che sporgeva dalle terga.
Bei ricordi del tempo che fu.
Sovvenendomi di quell’episodio mi domando perché tu non ci dia un po’ più dentro di enfasi nelle tue uscite ballerine. Dovresti fare appello a tutto l’armamentario di autoritarismo e orgoglio virile che ti avranno sicuramente insegnato in caserma.
Bello e impettito infilati l’uniforme da parata, raccatta un po’ di medaglie e decorazioni colorate e appuntale sul torace, se non ne hai procuratele a qualche mercatino dell’usato, poi stivaloni da cavalleggero e cappellone con pennacchio da corazziere. Così dovresti essere alto un paio di metri e vedrai che quando metterai piede all’Arruffapopoli ti faranno largo con deferenza, infatti è di rispetto che hai bisogno per non farti rifiutare dalle comari ballerine.
Il massimo sarebbe presentarsi a cavallo, ma non pretendo tanto, però almeno la gazzella con tutte le luci accese dovresti fartela prestare dal comando, per una sera cosa vuoi che sia, ricorda che le auto vistose hanno sempre un fascino notevole sulle ragazze.
Mi raccomando di portare la sciabola che dona tanta autorità, ma abbi l’accortezza, una volta fatto un paio di passerelle in sala per farti notare, di lasciarla al guardaroba.
Petto in fuori e mento in su, avanti marsch … unò due, unò due, unò due ………….. eccetera eccetera.

Ancora un Buon Natale

Sono andato a cercarmi il messaggio di auguri natalizi di un anno fa e ho fatto la conta di coloro ai quali questa volta non dovrei fare gli auguri, vuoi perché non ci frequentiamo da mesi, vuoi perché la corrente di empatia si è interrotta o le strade si sono come si suol dire divaricate.

Si tratta di un mucchio di gente.

Talvolta ci si ritrova in scelte di campo senza alcuna malevolenza accorgendosi che un poco alla volta si è intrapreso un percorso diverso che conduce verso altre frequentazioni, altre convinzioni e altri interessi.

Un pezzo di strada della nostra vita percorso assieme e poi l’oblio.

Non c’era niente di sbagliato prima, non c’è niente di sbagliato adesso, è solo che le cose cambiano anche senza di noi, anche sopra di noi.

Così il mio pensiero è ora rivolto a tutti coloro con i quali incrociamo i ricordi di ieri e le aspirazioni di oggi.

Auguri dunque al popolo dei ballerini e dei sedentari, agli assidui frequentatori di balere disponibili a lasciarsi andare per il fugace tempo di una canzone, auguri a maestri e allievi, ai virtuosi danseur impomatati chiusi nei frac e agli indaffarati, disarticolati tirocinanti, alle danseuses  appannate e pur sempre eteree e alle spose esuberanti fasciate di crinoline e pajettes con tante prospettive alle spalle.

Auguri a quelli che alla sera in macchina, tornando a casa, ascoltano le canzoni della radio, a quelli che non sono ancora sazi di musica, a quelli che rimandano ostinatamente l’ora del rientro, a quelli che prima di dormire parlano ancora una volta di giro naturale ed a chi fa già progetti per la prossima sera.

Auguri a chi dopo una sera di ballo si getterà sul letto ancora truccata con la voglia di dimenticare tutto e a chi toglierà il fondotinta con flemma davanti allo specchio ripensando a proposte di incontri futuri, accarezzando speranze che al risveglio non saranno più le stesse.

Auguri a quelli che per una notte hanno dato il meglio e non sono ancora appagati e a quelli che hanno trascorso un’altra serata da soli, a guardare gli altri sorridere, e tuttavia non hanno abbandonato la speranza.

Auguri a quelli che domani dormiranno fino a tardi e non ricorderanno  le avventure di oggi ed a quelli che sogneranno la ballerina con cui hanno condiviso una fugace beguine, auguri a quelli che hanno già sonno  e non combattono più.

Auguri a voi compagni di passione e di  di queste notti di musica e danza, auguri a  voi che animate queste storie di speranza e malinconia, auguri a tutti voi, pipistrelli notturni, compagni della mia sera.

e chi vi ferma a voi !

“Danzare è come parlare in silenzio. E’ dire molte cose, senza dire una parola.”

(Yuri Buenaventura grande cantante colombiano di salsa)

A Diosa

Capita talvolta che un brano musicale si nasconda tra le pieghe della memoria salvo poi, senza alcun preavviso, affacciarsi  improvvisamente mentre si passeggia o si fa la doccia.

Così ci troviamo a canterellare una trama della quale magari non si conoscono il titolo né le parole, una melodia imperfetta che viene evocata e della quale poi, con una frivola curiosità, dobbiamo per forza saperne di più.

A me è successo con “Non potho reposare”.

Il primo incontro, è stato quando ho dovuto ballarci sopra un valzer lento ed è stato incontro doloroso perché proprio non c’era verso di far coincidere i passi col ritmo, troppo difficile ai tentativi superficiali, oltretutto non capivo niente del testo e della voce, così ero quasi indispettito sebbene attratto dal brano.

La seconda scoperta è stata quando, ascolta e riascolta, balla e riballa, mi è venuta la voglia di conoscere meglio il personaggio di Andrea Parodi che quel pezzo cantava e aveva portato al successo e che, confesso la mia ignoranza, prima di allora non conoscevo.

Il terzo livello di conoscenza è stato il testo: tre strofe in dialetto sardo che mi hanno spinto a ricercarne l’origine: era evidente che non si trattasse di una semplice canzonetta e che nascondessero qualcosa di più

Così, piano piano, è emersa “A Diosa”, la poesia originale  e la sua storia, e così è nato il desiderio di farla conoscere a coloro che, come me, non ne sapevano niente, quasi un modesto omaggio all’autore, al cantante, alla musica e alla Sardegna.

La canzone nasce dalla poesia “A Diosa”,  il cui significato dovrebbe essere dea, divina o qualcosa del genere, scritta nel 1915 da Salvatore Sini detto “Badore” originario di Sarule in Barbagia,  pastore come tanti altri ragazzi dell’epoca,  poi poeta e infine avvocato.

Intorno agli anni venti il nostro Badore, che nel frattempo per tirare avanti si faceva onore nei tribunali, continuava imperterrito a scrivere drammi e testi di canzoni in quel di Nuoro, già allora definita l’“Atene Sarda”.  E’ in quel periodo che ebbe  inizio una stretta collaborazione col maestro Giuseppe Rachel, che di mestiere faceva l’impiegato nella pubblica amministrazione, ma che soprattutto era il direttore della banda di Nuoro il “Corpo musicale filarmonico”.

Nel 1921 Rachel, forse riprendendo una vecchia aria da lui stesso composta precedentemente,  pensò bene di mettere in musica tre strofe della versione originale della poesia del suo compare e così stese una composizione  per tenore e pianoforte con il tempo di mazurka, ritmo che richiama le feste paesane e lo spirito popolare.  Così nasce la canzone “Non potho reposare”  che prende il titolo del primo verso della poesia e che intraprende da quel momento una propria strada autonoma.

Da qui in poi non succede niente fino al 1936, anno della prima isolata incisione delle tre strofe da parte del tenore Maurizio Carta. Poi ancora oblio, la canzone viene presumibilmente eseguita dalla sola corale di Nuoro.

Soltanto dopo altri trenta lunghi anni, nel 1966,  il Coro Barbagia di Nuoro  incide un long playing intitolato “Sardegna, canta e prega“,  dove il primo brano proposto è proprio “Non potho reposare”,  e proprio nello stesso anno, neanche a farlo apposta, anche  il Coro di Nuoro, registra la raccolta “La Sardegna nel canto e nella danza“, dove ugualmente troviamo il nostro brano. Si vede che tutto d’un botto si erano tutti svegliati !

E’ grazie a queste incisioni che il brano esce da Nuoro e dalla Barbagia e inizia a  riscuotere un successo crescente. Da questo momento,  infatti, si trasforma in valzer lento e si diffonde conquistando i cuori di tutti, sardi e non. Ci penseranno altri nuovi interpreti a contribuire alla sua completa affermazione: le corali Cànepa e Vivaldi di Sassari, Maria Carta, Elena Ledda, i Tazenda, I Bertas, Andrea Parodi, I Cordas e Cannas e poi Gianna Nannini e Mario Carta e ancora molti altri gruppi e solisti.

A me piace la versione intima e essenziale di Andrea Parodi e Al di Meola. Quella oramai notissima dello stesso Parodi con i Tazenda è un valzer ballabile come ho detto un pochetto difficile e perciò affascinante.

La poesia è una dichiarazione di amore appassionato e spirituale, la canzone ne coglie le forti strofe introduttive culminando con un inciso e ripetuto “t’amo”, del tutto eccezionale per il contesto in quanto fino ad allora mai si era parlato apertamente di amore in una canzone in dialetto sardo, per tradizione terra di pudore e ritegno. Meraviglia delle meraviglie in questo brano l’invocazione  “ti amo” si ripete con forza per ben tre volte.

E’ una serenata piena di spiritualità e tenerezza senza tempo né confini ancora viva dopo quasi cento anni.

A titolo informativo Badore Sini scrisse anche la risposta poetica indirizzata dalla donna all’uomo e la intitolò, guarda un po’, “A Diosu” , ma questa ve la risparmio anche perché nessuno ne ha tratto una bella canzone e quindi non ci capiterà mai di ballarla.

E adesso gustiamoci la poesia originale e la sua traduzione in lingua italiana.

A Diosa
Salvatore Francesco Sini (1873-1954)

Non potho reposare amore, coro,
pessande a tie soe donzi momentu;
no istes in tristura, prenda e’oro,
nè in dispiaghere o pessamentu.
T’assicuro ch’a tie solu bramo,
ca t’amo forte, t’amo, t’amo, t’amo. 

Amore meu, prenda d’istimare,
s’affettu meu a tie solu est dau.
S’are giuttu sas alas a bolare
milli vortas a s’ora ippo volau,
pro venner nessi pro ti saludare,
s’atera cosa nono a t’abbisare. 

Si m’esseret possibile d’anghèlu,
d’ispiritu invisibile piccavo
sas formas e furavo dae chelu
su sole, sos isteddos e formavo
unu mundu bellissimu pro tene
pro poder dispensare cada bene. 

Amore meu, rosa profumada,
amore meu, gravellu olezzante,
amore, coro, immagine adorada.
Amore, coro, so ispasimante,
amore, ses su sole relughente,
ch’ispuntat su manzanu in oriente. 

Ses su sole ch’illuminat a mie,
chi m’esaltat su coro e i sa mente;
lizzu vroridu, candidu che nie,
semper in coro meu ses presente.
Amore meu, amore meu, amore,
vive senz’amargura, nè dolore. 

Si sa lughe d’isteddos e de sole,
si su bene chi v’est in s’universu
are pothiu piccare in d’una mole,
comente palumbaru m’ippo immersu
in fundu de su mare a regalare
a tie vida, sole, terra e mare. 

Unu ritrattu s’essere pintore,
un’istatua ‘e marmu ti vachia
s’essere istadu eccellente iscultore,
ma cun dolore naro: “Non d’ischia”.
Ma non balen a nudda marmu e tela
in cunfrontu ‘e s’amore d’oro vela. 

Ti cherio abbrazzare egh’e basare
pro ti versare s’anima in su coro;
ma da lontanu ti deppo adorare.
Pessande chi m’istimas mi ristoro,
chi de sa vida nostra tela e tramas
han sa matessi sorte prite m’amas. 

Sa bellesa ‘e tramontos, de manzanu
s’alba, aurora, su sole lughente,
sos profumos, sos cantos de veranu,
sos zeffiros, sa brezza relughente
de su mare, s’azzurru de su chelu,
sas menzus cosas dò a tie, anghèlu.


Non trovo riposo, amore, cuor mio:
il mio pensiero volge a te ogni momento.
Non esser triste, gioia d’oro,
non dispiacerti e non stare in pensiero.
Ti giuro che desidero solo te
perché ti amo, ti amo, ti amo.

Amore mio, tesoro inestimabile,
a te sola è riservato il mio affetto.
Se avessi avuto le ali per volare,
sarei volato da te mille volte:
sarei venuto per salutarti almeno
o anche solo per vederti appena.

Se potessi prenderei
la forma di un angelo,
d’uno spirito invisibile,
ruberei dal cielo sole
e stelle per formare
un mondo bellissimo per te
per poterti dare ogni bene.

Amor mio, rosa profumata;
amor mio, garofano odoroso;
amore, cuore, immagine adorata;
amore, cuore, io spasimo per te,
amore, sei il sole lucente
che spunta la mattina in oriente.

Sei il sole che m’illumina
e m’esalta cuore e mente;
giglio in fiore, candido come la neve,
sei sempre presente nel mio cuore.
Amor mio, amor mio, amore:
vivi senz’amarezza né dolore.

Se la luce delle stelle e del sole
e tutto il bene che c’è nell’universo,
avessi potuto prender tutto in una volta
mi sarei immerso come un palombaro
in fondo all’oceano per regalare a te
vita, sole, terra e mare.

Se fossi pittore ti farei un ritratto,
una statua di marmo
se fossi un eccellente scultore.
Invece dico con dolore: “Non lo so fare”.
Ma il marmo e la tela nulla valgono
in confronto alla vela d’oro dell’amore.

Vorrei abbracciarti e baciarti
per versare la mia anima nel tuo cuore.
Ma debbo adorarti da lontano.
Il pensiero del tuo amore mi conforta,
tela e trama della nostra vita
hanno la stessa sorte perché m’ami.

La bellezza dei tramonti, l’alba del mattino,
l’aurora, il sole splendente,
i profumi, i canti della primavera,
gli zefiri, la brezza rilucente
dal mare, l’azzurro del cielo
le cose più belle dono a te, angelo.


Per chiudere con un sorriso faccio una proposta dissacratoria:  cantare  sulla frase musicale di “Non potho reposare”  le prime quattro rime di un saltarello medievale dell’Italia centrale il cui testo proviene da un manoscritto conservato alla British Library di Londra, nel quale sono contenute tutte le musiche strumentali italiane di cui sia rimasta traccia.

Non era usanza di quel tempo mettere per iscritto musiche non vocali,  per questo motivo sono andate perse quasi tutte le musiche strumentali del Medioevo italiano.

Come si vede si tratta di una cosa seria, il cui significato fra l’altro è tutt’altro che spensierato, e non di una goliardata,

 Non posso far bucato che non piova

Se’l tempo bello, subito si turba,

Balena, tuona, e l’aria si raturba

Perch’io non possa vincer la mia prova.

 Così sanza ragion m’è fatto torto

Ch’io servo ogni uomo e ciascun mi vuol morto

Di che la vita mì viver non giova

 Qualcuno dirà:  ma cosa c’entra ? niente, si fa per cazzeggiare !

Andrea Parodi e Al di Meola: Non potho reposare

La posta del cuore: Elena di Russia

Mio nome è Elena, ho 44 anni e sto scrivendo dalla provincia in Russia.
Io lavoro in biblioteca e, dopo, il mio computer lavoro posso utilizzare, se possibile.

Ho scovato alcuni indirizzi su Internet e deciso di scrivere questa lettera a voi del SAMBA perché mio sogno segreto essere fare ballo da cubo in locale a luci rosse da voi in Italia.
Ho quattro figli di quattro, tre, due, uno anni vecchi. Suo padre ci ha lasciato dopo ultimo, detto basta figli uno per anno e andato in miniera a Meždurečensk, detto basta scopare, meglio Siberia che altri figli.

L’inverno ora sta arrivando e il tempo nella nostra regione è molto freddo. Noi usare riscaldamento a legna, abbiamo risparmio di legno nel granaio e arrivano a casa nostra caldo tutto l’inverno per noi a costo zero. Però sarebbe bello avere a casa per una stufa portatile per il calore. Purtroppo non possiamo acquistare questa stufa nel nostro mercato locale, perché il costo di questo forno è 8.045 rubli, e molto costoso per noi.

Io penso che se vengo in vostro paese a ballare ballo da cubo in  locali luci rosse può prendere rubli per stufa.

Ho letto che voi del SAMBA sistemate affari di ballo e chiedo se possibile trovare ingaggio in locale per me. Io 44 anni ma fare cubo meglio di giovanetta gne gne gne  italiana. Mie misure sono novanta novanta novanta.
Scuso per gli errori in questa lettera mi spiace. Stavo usando Google amplificatori.
Elena.

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Mia cara Elena

Rispondo volentieri alla tua e.mail e cercherò di farlo usando un linguaggio semplice affinché tu meglio comprenda.

Leggere le tue parole di stufe e miniere mi ha riportato a tanti anni addietro quando, giovanotto maturo in cerca di me stesso, approdai dopo lunga peregrinazione nelle fredde terre di Siberia e tentai fortuna come venditore di maraschino contraffatto in una bettola nei pressi della miniera di diamanti di Mirny.

Allora, si parla di tanti anni fa, c’erano molti minatori alla ricerca di lavoro e molte mogli di minatori che aspettavano pazientemente il ritorno dei mariti.

Mi ricordo che dopo aver versato ettolitri di bel maraschino rosso fiamma nelle gole avide dei compagni stanchi dopo duri turni di lavoro, dovevo sovente riaccompagnare gli ubriaconi  a casa, infilarli nel letto e provvedere quindi a consolare le mogli ansiose e vogliose.

Si sa, la donna russa è femmina due volte, e una volta toccava spesso a me.

Tutto ebbe fine quando la contraffazione del maraschino raggiunse apici di imbevibilità e fui rispedito a casa col foglio di via.

Ma bando alle ciance e veniamo a noi.

Ciò che mi chiedi non rientra nella missione della nostra associazione perché noi non trattiamo offerte di lavoro e tanto meno di cubi.

Piuttosto ti consiglierei di inviare una bella lettera a qualche rubrica di cuori solitari del nostro soleggiato paese per vedere se scovi qualche laborioso zitellone in cerca di femmine esotiche. Considerate le tue notevoli misure direi che un falegname della Val Brembana abituato ai tronchi di abete potrebbe essere interessato.

Conoscendo bene i miei compatrioti ti suggerisco di non citare per il momento l’ingombrante presenza dei quattro pargoli affamati e rimarcare piuttosto la tua volontà di fare il cubo a luci rosse magari solo per il tuo futuro compagno.

Potrebbe funzionare e tu non avresti più freddo. Garantito al limone.

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Sono Elena dalla provincia in Russia.
Grazie di risposta, io usato meglio traduttore Google e capito che da voi piacere cubo e tronco in Val Brembana, però non capito cosa essere strane parole come bando ciance e garantito limone.

Essere qualcosa che devo io imparare per trovare uomo a luci rosse ?

Il Grillo

 

Il Grillo
Via Montalbano, 284 – Cantagrillo (Pistoia) tel. 0573.527274
Quando si balla  
sabato sera liscio e revival con piccola orchestra
Prezzo  
inferiore a 10 euro
Pista da ballo  
12 passi x 6 passi
Parcheggio  
ampio alle vicine piscine
Dove si mangia  
Pizzeria il Grillo a venti metri di distanza, comunque a mezzanotte funziona un servizio ristoro compreso nel prezzo, alla buona ma che sfama

In questo mio microcosmo di invasati ballerini può accadere che si vada in pizzeria a farsi una discreta pizza al tagliere, e che, a pancia piena, il solito mattacchione annusi aria di musica e ballo e scopra che due porte più in là, al primo piano di un edificio che ospita il bar, esiste una balera sconosciuta.

E più balera di così non si può.

Il Grillo si chiama, come la pizzeria del tagliere suddetto, il bar e la pizza speciale del cuoco e pure il paese che porta il romantico nome di Cantagrillo, ricordi di campagna e dolci suoni della natura.

Grillo è il nome comune di alcuni ortotteri della famiglia Gryllidae della superfamiglia Grylloidea: i più conosciuti sono il Grillo canterino, il Grillo del focolare, il Grillo silente, il Grillo dei boschi, il Grillotalpa e il Grillo parlante di Pinocchio.

Ovviamente nel nostro caso si tratta del Grillo canterino da cui l’etimologia del paese e da cui l’allegra predisposizione al sorriso degli abitanti detti  cantagrillini.

La balera di questa sera è uno stanzone rettangolare al primo piano, arredato con sedie e tavoli in plastica da giardino disposti ai quattro lati di una piccolissima pista da ballo.

Alle finestre tendaggi da roulotte con decorazioni giallo ocra  e marroncino, sui tavoli tovaglie di plastica arancio, al soffitto festoni di lampadine multicolori e alle pareti manifesti appiccicati col nastro adesivo dei gruppi musicali che verranno.

Quattro ventilatori a pale ci guardano dal soffitto tentando invano di rinfrescare l’ambiente.

Il pavimento è in piastrelle quadrate di monocottura avorio, tre colonne in stile classico, che non ci incastrano niente col resto, campeggiano su un lato, suppongo per sostenere il solaio, non certo per far sbattere le corna ai ballerini perché qui ci si vuol bene.

Ad un angolo un palco di due metri per due ospita l’orchestrina che, per questione di spazio, non può essere composta da più di due elementi

Accanto al palco si apre una porta (portapertaperchiporta) che dà su un magico e misterioso stambugio: un po’ cucina e un po’ lavanderia, calzolaio, officina e bazar, deposito e garage, rimessa attrezzi e ferramenta, dal quale a mezzanotte  il panciuto gestore attinge a piene mani tavoli e tovaglie, bevande e vettovaglie per rifocillare amorevolmente i ballerini, e ricchi premi e cotillons per le lotterie enogastronomiche.  Sopra la porta campeggia il motto che meglio rappresenta il locale “Qui si mangia si beve e si mette trapeli”.

Sembra di essere capitati per sbaglio a una festa in casa, un ritrovo di parenti e amici da sempre,  eppure non siamo trattati come intrusi, ma come cugini alla lontana, venuti fino quassù a trovare zie e nonni.

Si perché si tratta di avventori non di primo pelo, dai sessanta fino a limite di sopravvivenza, ottanta, novanta, centodue e chi più ne ha più ne metta, si potrebbe dire “diversamente giovani”, che sembra quasi un complimento.

Ci stanno un centinaio di persone compresse e  non c’è molto spazio per ballare ma la famiglia allargata degli habituè, scorre tra roteanti beguine e strascicati fox, non disdegnando balletti di gruppo che fanno tanto bene alle articolazioni. E non pensate che non si sappia ballare a modo, qui nessuno va fuori tempo e se i passi sono forzatamente piccoli non manca né energia né buonumore.

E’ una sala allegra, la gente ci viene col vestito della domenica e si diverte un mondo con poca spesa e se voi non vi divertite vuol dire che non avete capito lo spirito e non vi sentite anche voi un po’ parenti di tutti.

E’ un rifugio antiatomico contro gli eccessi del berlusconismo.

Giudizio

Mi piace l’idea, l’utilizzo e lo spirito di questo posto e soprattutto mi piace vivere in una città dove questi luoghi sopravvivono e  vegetano, quasi nascosti per non essere normalizzati dal progresso.

Ogni quartiere dovrebbe avere il suo Grillo, molto più socializzante del campo di bocce o della coda in attesa dal medico curante.

Da venirci a scopo terapeutico quando il mondo ci porta a pensare che la terza età sia solo tristezza e solitudine.

Un ballerino

 

 

 

Lezioni di ballo fai-da-te:Ballo sardo

Buongiorno, sono l’architetto e maestro di ballo Isidoro Polvani ideatore del “Metodo di ballo semplificato fai-da-te del maestro e architetto Isidoro Polvani, del Foro di Bagno a Ripoli”.

In questa bella mattina di sole voglio esporvi le regole che faranno di voi, amabili ed annoiate dame, delle vere e proprie ballerine etniche spendibili su tutto il territorio nazionale: il ballo sardo.

Ci sono una infinità di tipi di ballo sardo: Su Ballu Tundu, A Passu, Su Ballu Seriu, Su Ballu Antigu, Su Dillu, Su Ballu Corridore, Su Passu Torrau, Su ballittu de Tiligheddu Pintu e tutto quello che comincia  per Su e poi qualche altra cosa.

Praticamente ogni paese ne ha uno specifico, che dico, ogni rione di paese, a volte anche la singola strada e il singolo condominio ne ha uno caratteristico  tramandato negli anni, ben prima che fosse edificato il palazzo perché magari trae le proprie origini da un certo appezzamento di terreno, detto podere. La società di studi di etnocoreologia sarda associata ne ha tentato una classificazione arrivando al numero di due milioni e trecentocinquantamila, praticamente uno e mezzo per ogni abitante dell’isola.

Non sapendo cosa scegliere fra tanta abbondanza di proposte applicheremo il collaudato metodo semplificato fai-da-te e ce ne faremo uno tutto nostro appioppandogli una tradizione, che so, di cento o duecento anni per renderlo interessante e farlo rientrare nelle sovvenzioni regionali a fondo perduto.

Suggerirei di chiamarlo Su Appartamentu Vista Flumen, in sardo fiume si dice flumen.

In questo caso il luogo naturale di esecuzione del ballo sarà il  tinello con angolo cottura della mansarda di una palazzina abusiva edificata negli sessanta con una vista mozzafiato sul fiume, che dovrebbe corrispondere più o meno a casa vostra.

Ho detto tinello e mansarda perché per questo genere di ballo non sono richieste grosse superfici, risulta quindi adatto anche alle signore meno fortunate che risiedono in appartamenti dai cinquanta metri quadri in giù, praticamente dei buchi.

Questo ballo sardo, che non nasce propriamente in Sardegna ma dove capita, si dovrebbe fare in un numero di persone variabile a seconda di quanti riuscirete a trovarne, si va da un minimo di uno, è un po’ squallido a dire il vero, ad un massimo di quanti ne entrano nel vostro tinello, diciamo trenta, trentacinque pigiati.

I partecipanti non devono superare il metro e settanta di altezza, così sfrutteremo anche la parte più bassa della mansarda, e indossare stivaletti di capretto e pantaloni di velluto, sopratutto d’agosto.

L’arredamento del tinello dovrebbe essere rivisto con l’applicazione di ritagli di sughero alle pareti e piante di agave alternate a composizioni di rosmarino e mirto tali da ricreare la macchia mediterranea. Lasciate solo i mobili essenziali: un tavolo e le sedie nell’eventualità che qualche volta dobbiate pranzare sedute con vostro marito, ma sceglieteli di dimensioni contenute e possibilmente pieghevoli.

Eliminate poi il televisore e sopratutto il computer del consorte che non si addice alle atmosfere selvagge, togliete di mezzo infine tutti i cavi elettrici che vedete in giro e le sue scartoffie, appunti e libri. Invece se possiede canne da pesca potete portarle su dal garage, toglierle dalla custodia  e disporle lungo le pareti in modo casuale magari scrostandole col temperino e arruffando  un po’ le lenze per dare un tocco di vissuto al tutto. Aprite infine la finestra che dà sul fiume per far entrare aria fresca e ponete sul davanzale una forma di pecorino stagionato.

L’ambiente è ora pronto.

E ora i passi del nostro ballo sardo.

Ci si dispone in cerchio con i ballerini che si tengono per mano alternati uomo, donna e si  muovono con andamento circolare sempre verso sinistra. Il cerchio può essere chiuso dalla catena dei ballerini, aperto, frammentato per gruppi o coppie, dipende da quanti siete e cosa vi viene in mente.

Al centro dovrebbero stare i suonatori e almeno due tenores, se non li abbiamo utilizzeremo un riproduttore audio munito di cori tipici sardi; il riproduttore audio va poggiato su un tronchetto di quercia sughera di un metro e mezzo circa che avrete recuperato nel bosco e fatto segare a misura, intorno al tronchetto legherete una pezzola rossa e bianca.

Ricordate, mie adorate signore, che le regole di postura e atteggiamento da utilizzare nel ballo sardo sono serietà, ordine e rispetto, in quanto il ballo svolge anche una funzione terapeutica e catartica, quindi non vi circondate di amiche garrule o compagni chiassosi perché non sta bene.

La postura prevede il corpo eretto con scarsa mobilità della parte superiore ed estrema vivacità degli arti inferiori, accompagnati da tremolii del corpo e delle braccia, più la musica incede e si infiamma più dovrete muovere velocemente i piedi sempre con aria severa, come degli ossessi in un rito di purificazione.

Per un buon risultato coreografico ed un sano dimagrimento il ballo sardo andrebbe ballato per almeno quattro ore continuate fino allo sfinimento, quando il vostro amato consorte tornerà dal lavoro, a sua volta stanco morto, troverà la casa affollata dal corpo di ballo ancora più stanco e più serio di lui, tutti svaccati qua e là per terra o sul vostro lettone, non sarebbe allora male chiedergli dolcemente di tornare fuori  a comperare le pizze per tutti visto che sarete affamati e la forma di pecorino non va assolutamente toccata perché  funge da soprammobile.

E ora, buon divertimento dal sempre vostro Arch. Maestro Isidoro Polvani

Candeglia

Candeglia Circolo arci
Via Carota e Molina, 64 – 51100 Pistoia tel. 0573.4515554
Quando si balla  
sabato sera liscio e revival con  orchestra
Prezzo  
inferiore a 10 euro  
Pista da ballo  
8 passi x 13 passi  
Parcheggio  
davanti al locale, non grandissimo
Dove si mangia  
al piano superiore del circolo, pizza, antipasti e pastasciutta

E’ la lunga strada che esce dalla città e porta verso le colline, ultima traversa a destra prima della strettoia, e poi subito sulla destra, non si può sbagliare.

Una casa del popolo è riconoscibile al primo sguardo: intanto la collocazione che non è mai in centro città ma in quelle periferie campagnole  che con gli anni sono state inglobate da quartieri dormitorio con l’ultima lottizzazione di cooperative.

E poi gli edifici: privi di linee architettoniche di un qualsivoglia gusto estetico, parallelepipedi tirati su senza armonia, con brutti finestroni, spesso con un resede lastricato e coperto da una tettoia che diventa pista da ballo o luogo dove collocare tavoli per la pizza o per sostare a frescheggiare nelle sere d’estate.

Ci sono il bar, una sala dove giocare a carte con moccoli che volano ad altezza uomo, bagni spartani. Poi la televisione in un angolo,  un paio di flipper, una slot machine o un biliardino, altre volte una saletta con un biliardo logoro e l’aria ancora impregnata di fumo dagli anni ottanta.

Soffitti alti, luci fredde al neon, la pittura alle pareti neutra, non definita, può esserci anche un rivestimento in finto legno, gli arredi tassativamente fuori moda, in plastica e ferro, sopra i tavoli una copia del giornale locale, da una parte il congelatore della sammontana con i cartelloni dei gelati.

Spesso attraverso un corridoio o una rampa di scale si accede ad un altro salone più grande adibito a sala da ballo e luogo per la tombola, ambiente per cene sociali e platea per assemblee sindacali. Una volta era qui che si svolgevano le riunioni di partito e le feste dell‘unità con lo stand dei libri delle Edizioni Riunite e il banco col gioco del tappo.

Le case del popolo ora si chiamano circoli arci, quelle delle mie parti sono tante e sono fatte proprio così, ogni volta che entro in uno di questi edifici mi assalgono sentimenti contrastanti: la constatazione di quanto mostrino la loro età  e la nostalgia della mia giovinezza, comunque luoghi fuori del tempo.

La mia balera è una di queste e prende il nome di quello che una volta era un borgo e adesso è un quartiere di periferia, Candeglia, ma non ditemi che è un brutto edificio solo perché uguale alle altre case del popolo perche questa io la vedo in un altro modo. Il significato del luogo ha trasceso il luogo stesso e quelle che vedo non sono stanze, ma immagini di ricordi ed emozioni.

E’ lì che ho mosso i primi passi di ballerino scoprendo l’emozione dei primi programmi di ballo allacciato alla mia dama.

Il bar ha un ritmo di paese: è sempre semivuoto, mai deserto, il  lavoro è continuo e rallentato e i liquori non sono à la page, nel cantuccio della tv ci sono tutte le sere due anziani signori che guardano Walker Texas Ranger. Certe sere d’inverno ho atteso l’apertura della sala guardando gli altri giocare a carte e gridare lo striscio e il busso del tressette,

Conosco la piccola pista di graniglia come le mie tasche, potrei muovermi ad occhi bendati fra le poltroncine azzurre  il sabato sera quando sono piene di gente allegra di mezza età.

Conosco il piccolo guardaroba e il vecchio guardarobiere e il salone al piano superiore a cui si accede da una scala che si avvolge in un semicerchio.

Volti oramai familiari si associano all’ambiente, sono nell’aria, respirano con il calore che impregna la sala in primavera inoltrata.

Ormai ho una visione romantica e non oggettiva del posto, come  potrei averla della casa dove sono nato o della mia vecchia scuola elementare che non c’è più.

Proprio non posso dire che è un brutto edificio, è un ambiente di famiglia, è una specie di rifugio del pensiero e di sogni fatti di musica e movimento, in compagnia dei quali mi addormento volentieri.

Da tutto ciò si desume che il mio giudizio su Candeglia non è dei più oggettivi, tuttavia posso assicurare che nel panorama delle sale da ballo della città è un piccolo e apprezzato gioiello gestito con passione da Luciano Vannacci e dagli altri soci, coi divanetti azzurri e le pareti salmone, i tendaggi e gli specchi, un palco sufficiente per un’orchestra di cinque elementi e un ottimo impianto audio.

Il castello dei riflettori colorati che sormonta la pista, un po’ piccola, diffonde una luce attenuata che rende i lineamenti morbidi. La clientela è tradizionale, ovvero ci sono sempre gli stessi, e fra questi buoni ballerini e altri non più giovani e pertinaci  amanti della beguine che certe volte intralciano il percorso, ma fa niente.

Attiva da oltre cinquanta anni si vanta di aver rilanciato in città il gusto del liscio in sodalizio con la mitica orchestra Lottini.

A fronte dell’andamento altalenante della moda del ballo di questi anni gode di una zoccolo duro di clientela affezionata che garantisce  il pieno del sabato sera, unica serata fissa di ballo, però  se ci capitate quando la sala fa il pienone dei 230 posti a sedere sarà meglio che vi dedichiate alla pratica del ballo del mattone.

Le orchestre sono quelle del giro, con predilezione per l’agenzia teatrale Regno Unito, e a mezzanotte passano le signore del bar con la focaccia per tutti.

Si balla fino alle due del mattino e di sicuro non ci si annoia.

Giudizio: Un approdo caldo e sicuro del sabato sera invernale, è confortante sapere che esiste.

Tre ballerini