Il giorno 28 febbraio c.a. presso questo comando veniva sporta denuncia da parte di Friarielli Domenico fu Giuseppe, di anni 52, celibe e Tempestino Manrico di anni 45 coniugato con Tizzi Fernanda, nullatenente, incensurata, verso ignoti per il furto di oggetti ritenuti atti al lavoro dal loro furgone Ford Transit targato RZ 123 XX di colore grigio di anni 18 regolarmente riveduto e corretto.
I fatti
Il giorno 27 febbraio, che poi sarebbe ieri, i due denuncianti, che potremmo definire operai, parcheggiavano il loro furgone nel sottosuolo del locale supermercato, identificato come Lidl, e indi salivano al piano superiore per accedere al market onde acquistare beni di prima necessità di tipo alimentare barra commestibile da consumarsi a pranzo barra merenda.
Nello stesso momento un individuo, che definiremo ladro, era appostato all’interno del garage suddetto in attesa di facili prede. Quando ha visto i due operai parcheggiare il furgone e salire al piano superiore per accedere al market, è entrato prontamente in azione. Dopo essersi accertato che in quel momento non transitavano veicoli barra persone, ha rotto il vetro posteriore dell’automezzo e ha rubato dal bagagliaio due grosse borse cariche di utensili da lavoro e non, un bottino dicesi di grande valore. Una volta terminati gli acquisti, dettagliati in allegato B, e tornati al furgone, i due operai hanno avuto l’amara sorpresa ed hanno chiamato la centrale operativa tramite cellulare di marca coreana.
L’agente Tumiriello Genesio che trovavasi di piantone alla centrale richiedeva subitamente ai denuncianti gli estremi atti alla compilazione del modello 345 Ter “Intervento per Furto su furgone” composti da identità, residenza, stato civile, codice fiscale, scadenza della patente, tessera sanitaria, codice del Green Pass e ultimo ma non ultimo luogo del presunto furto quindi, dopo una mezz’ora circa, allertava prontamente la pattuglia di ronda formata da: autista alla guida della vettura agente semplice Gerardo Tasselli, sedente davanti maresciallo Battaglia al cui didietro come di consueto stava l’ausiliario Rino Badalà.
L’agente Tasselli, richiesta l’autorizzazione al capo macchina, sospendeva il pedinamento di tale Ermelinda Freuler, in arte Erika, massaggiatrice a domicilio e con una rapida inversione a U che abbatteva alcuni motocicli imprudentemente parcheggiati sul lato opposto della carreggiata, si recava a folle velocità presso il luogo del misfatto, in particolare all’interno del garage sotterraneo del supermercato Lidl di cui sopra dove peraltro urtava inavvertitamente una autovettura Volvo 640 con targa straniera.
Quivi giunti, una volta raccolte le prime testimonianze di curiosi e non, l’ausiliario Badalà suggeriva una perlustrazione dell’area di sosta e il maresciallo Battaglia decideva di effettuare la perlustrazione stessa. Dopo pochi istanti fu rinvenuto, diciamo pure casualmente, un portafoglio sul pavimento. Lo stesso fu quindi aperto usando le precauzioni del caso compresi guanti in lattice azzurro e indi controllatone il contenuto: documenti ed effetti personali di tale Manrico Fanciullacci di anni 56 di Castellammare del Golfo, altezza metri 1,50 peso 56 chili occhi marrone, contenente 15 euro.
Il maresciallo Battaglia supponeva trattassesi di uno sfortunato smarrimento e avvertiva la centrale per poter riconsegnare il portafogli allo smarritore, senonché a fronte di pronto accertamento risultava che lo stesso Fanciullacci fosse ben noto alle forse dell’ordine locali col nome di “O’Piccirillo” reo di numerose condanne per furto con destrezza e maltrattamenti su animali da cortile.
Avveniva quindi che l’ausiliario Badalà suggerisse che forse lo smarritore del portafogli fosse proprio il ladro della borsa degli attrezzi e quindi per una fortunata e rara coincidenza il caso potesse assumere una svolta tanto inattesa quanto risolutiva. Il Maresciallo Battaglia di fronte a tale ardita ipotesi decideva di chiudersi in se stesso per una pausa si riflessione e dopo una ventina di minuti circa emergeva dallo stato di trance esclamando che grazie al suo intuito aveva capito che il portafogli smarrito apparteneva al ladro.
A questo punto fiutata la pista sono iniziati i controlli a tappeto presso il domicilio del Fanciullacci, in via del Salsero, il quale rinvenuto a casa sua e messo alle strette sotto la minaccia di percosse, dopo qualche esitazione, confessava il misfatto e restituiva le borse cariche di attrezzi da lavoro sottratte dal furgone qualche ora prima, tuttora intonse.
Il ladro è stato quindi denunciato a piede libero per furto mentre il bottino è stato restituito agli operai che peraltro non ritenendosi de tutto soddisfatti quivi si sono rivolti davanti al sottoscritto per sporgere denuncia per furto e perdita di una giornata di lavoro al nero per i motivi di cui a verbale “ la devono pagare questi ladri del cavolo che noi si lavora e ci si fa un culo così e loro non fanno un tubo dalla mattina alla sera e si drogano e ci violentano le donne… e via e via con l’ova…“.
In allegato B:
elenco dei beni di consumo acquisiti dai due operai al supermercato Lidl per pranzo barra merenda.
Scritto, letto e riletto e firmato dal sottoscritto Agente scelto Settimio Paccosi fu Gerolamo
Ripubblico volentieri un articolo giù uscito su questo blog il 31 gennaio 2012, una vita di ballo fa. Me ne ha suscitato il desiderio una e.mail che ho ricevuto oggi dalla professoressa Beatrice Benelli, autrice fra l’altro del saggio “Avanzi di balera“, che mi onoro di chiamare amica di penna. Mi ha ricordato gli inizi della mia avventura di ballerino, suscitando grande nostalgia di quei tempi. Eeeh si……gli anni passano !
Amici Ovvero della evoluzione della specie: i vecchi compagni di ballo relegati a quel ruolo e a quella condizione si sono col tempo evoluti in amici affettuosi, ed è bello constatarlo. Come Adriano & Manola che fin dalla prima sera hanno creduto, non si sa come, nelle nostre possibilità e ci hanno trasmesso quella cosa evanescente e fondamentale che si chiama entusiasmo, tanta fiducia anche quando non riuscivamo ad alzare i piedi da terra e diventavamo matti in quell’angolo di sala nel tentativo di capire la posizione del tango. Amici come quelli che ci seguono e hanno fatto il tifo per noi, con calore e partecipazione sincera, senza gelosia, senza invidia, timidi segnali di un mondo perfetto.
Animale da gara Il mio primo maestro diceva che noi siamo animali da gara perché rendiamo più sul parquet delle competizioni che in allenamento. A parte il fatto che mi sembra naturale che ci si alleni per esprimersi al meglio durante la competizione e a parte che dobbiamo ancora dimostrare tutto, devo dire che il termine mi fa piacere, ma al contempo mi suscita anche associazioni idiomatiche di dubbio gusto come: animali da combattimento, bestie da corsa, cavalli da tiro, asini da soma, cani da guardia o animali da pelliccia. E’ un complimento ?
Animale da gara due Il mio primo maestro diceva che noi siamo animali da gara perché rendiamo più sul parquet delle competizioni che in allenamento. Ne ero convinto anche io, mi sa che mi sono autoportato sculo. Siamo animali e basta ! PS Queste due definizioni vanno usate alternativamente secondo come si è svolta la gara più recente.
Autostima L’autostima è il processo soggettivo e duraturo che porta il soggetto a valutare e apprezzare se stesso tramite l’autoapprovazione del proprio valore personale fondato su autopercezioni. La parola auto-stima deriva appunto dal termine “stima”, ovvero la valutazione e l’apprezzamento di se stessi e degli altri. I ballerini devono avere una grossa autostima, pomparsi al massimo insomma, per trasmetterla agli altri concorrenti e ai giudici ed impressionarli favorevolmente. Il livello di autostima varia secondo l’inclinazione caratteriale e i risultati conseguiti. A parte i pochi che stanno in cima perennemente, ma loro sono “super”, i ballerini normali salgono sull’ottovolante del bene/male a ottobre e ne scendono a maggio, una settimana su, l’altra giù. Autostima impazzita come un sismografo sul vulcano in eruzione. In questa fase siamo in bassa pressione: encefalogramma piatto, morte clinica del ballerino. Speriamo che Barbara ci pratichi l’elettrostimolazione.
Bagni Una notiziona: esistono i bagni nei palazzetti! In genere sono due o quattro, intendo quattro tazze del cesso e quattro lavandini, due specchietti e, certe volte, un paio di docce. A parte che non si capisce l’utilità delle docce se non stanno dentro gli spogliatoi, faccio un semplice calcolo. Le gare di ballo durano una giornata piena dalle nove di mattino a mezzanotte con un turnover di ballerini, maestri, parenti, curiosi e venditori ambulanti incessante. Gireranno duemila persone e fra queste ballerini pertinaci che si fanno l’intera giornata come per penitenza. Duemila persone per quattro water fanno una media di cinquecento minzioni (pisciate) al dì cadaun cesso, quando va bene. Io per esempio soffro di emotività vescicolare per cui devo andare in bagno ogni ora. Può un gabinetto restare a lungo pulito, fornito di carta igienica e accettabilmente giovabile? Certochennò ! La carta finisce a mezzogiorno, dal primo pomeriggio si trovano tracce di alternative alla carta sul pavimento, assieme ad altra roba non identificabile, a sera per entrare dentro sono necessarie le calosce. A mezzanotte è meglio farla all’autogrill o riportarla a casa (quelli che ne sono capaci).
Ballerine Amo le ballerine di tutte le categorie età e classe. Mi affascinano soprattutto quelle avvolte nei vestiti lussureggianti di piume e paillettes con scolli fino al culo e nudità mascherate da corpetti color carne. Mi piace guardarle da lontano mentre ballano leggiadre e sorridenti con grandi trucchi, bouquet e strass e maniche volanti da trapezista. Poi mi piace avvicinarmi a bordo pista nel momento in cui escono arrossate e affaticate, allora riconosco la zia gina, la sora geltrude e la verduraia del mercato ortofrutticolo nella loro naturalezza. Le meno giovani mi piacciono sopra ogni altra cosa: sono una vera scoperta di cartilagini nascoste e di rughe camuffate. Mi pare di esser un bambino al circo. Amo queste grandi donne che sfidano col sorriso sulle labbra tempo e forza di gravità.
Ballerini Si tratta di un fenomeno singolare: siamo in compagnia di ballerini e tu inizi a raccontare le tue difficoltà o le tue esperienze di ballo, tutti fanno grandi cenni di assenso con la testa come a comprendere, invece stanno pensando esattamente ai cavoli loro, stanno elaborando i loro problemi di ballo le loro esperienze fregandosene delle tue. Così quando apriranno bocca anziché risponderti o intervenire con senso logico sul tuo discorso si metteranno a parlare di quelle che sono le loro difficoltà o le loro esperienze proprio come se tu non avessi mai parlato. Da ciò ho acquisito la convinzione che il ballerino maschio ha sviluppato in sé un senso di egocentrismo assoluto.
Barbiere Nella nostra classe di ballo le donne si truccano poco: fondotinta, ciglia, rossetto e basta, gli uomini niente, tutto al naturale. Eppure……. dopo venticinque anni ho tradito Gianni, il mio barbiere, con Riccardo il barbiere dei ballerini della città. Cosa ha di speciale: nulla ! ma qualcuno gli ha disvelato una teoria su come portare la capigliatura in gara di ballo, lui ha imparato e la fa a tutti così: sfumatura alta con la macchinetta, corti dietro le orecchie, gonfi ai lati, corti davanti con la divisa pronunciata, gel e fissativo, non fa nemmeno lo shampoo e costa meno degli altri, il buon Gianni inorridirebbe. Eppure, eppure ……, uscito da Riccardo mi son guardato allo specchio e mi sentivo più ballerino che mai, una sottospecie di Mirko Gozzoli attempato e con qualche chilo di troppo.
Body La camicia da ballerino mascolino è aderente e soprattutto deve stare calzata dentro i pantaloni affinché non si produca in sbomboli antiestetici, la soluzione ideale è perciò acquistare una camicia elasticizzata a body. Le camicie body da uomo, che chiameremo per semplicità “bodyman” dovrebbero finire con due lembi chiusi sotto il cavallo tramite bottoni. Esistono però altri bodyman diciamo più sbrigativi ovvero che non hanno i bottoni perche sono semplicemente cucite, saldate, murate sotto al cavallo di cui sopra. Questi bodyman si indossano ovviamente sopra agli slip e prima dei pantaloni perche occorre inguainarsi dentro come in una tuta da record del mondo di discesa libera. Sul momento non mostrano alcuna differenza con le altre bodyman con i bottoni e quindi appare una scelta del tutto indifferente. La differenza emerge quando scatta il bisogno corporale da gara di ballo, tipico fenomeno urinario legato a giornate particolarmente lunghe, palazzetti freddi o emozione da pista. In questo caso ci si rende pienamente conto dell’errore commesso in fase di acquisto perché si prospettano due sole alternative praticabili: denudarsi completamente o rufolare per un quarto d’ora alla ricerca del pertugio corretto per svolgere la primaria funzione vescicale. L’evidenza della scelta completamente sbagliata affiora ancor più drammaticamente quando il bisogno corporale sia di natura intestinale e irrefrenabile, dunque non procastinabile. In questo caso neppure il mago Houdini riuscirebbe a districarsi senza fare danni irreparabili. La mia è una tragica esperienza di vita vissuta, il mio consiglio agli aspiranti ballerini è pertanto quello di verificare con attenzione le vie d’uscita di una camicia da ballo prima dell’acquisto.
Bisogni corporali Vedi la voce Body L’esperienza insegna che è preferibile adottare una corretta alimentazione pregara a base di astringenti vari quali riso, nespole, limoni, banane, allume di rocca, ceralacca, gesso, silicone e cemento a pronta.
Campionato Le gare di campionato italiano di ballo per le varie categorie sono sei e si effettuano nel periodo che va da ottobre a giugno, l’ultima, la più importante, si svolge nei padiglioni della fiera di Rimini, le altre sono disseminate in giro per l’Italia suddivise per fascia di età. Ad esempio il campionato italiano per una determinata classe può svolgersi nelle tappe di Udine, Olbia, Velletri, Catania, Verona ed infine Rimini. Come si evince non si tratta di trasferte agevoli per distanze e costi. Il popolo dei ballerini è costretto a sostenere sacrifici notevoli per partecipare a tutto il circuito, così più comunemente si partecipa alla finale di Rimini e ad una delle tappe più agevoli in quanto due gare sono sufficienti per la classificazione ufficiale. Due volte abbiamo optato per una trasferta lunga che prevedesse l’avvicinamento alla destinazione di gara il giorno precedente al fine di evitare stanchezza e stress e quindi rendere di più. Si è trattato di due fiaschi clamorosi e costosi, così abbiamo deciso che anche se la prossima gara di campionato si dovesse svolgere a Stoccolma partiremo la mattina presto (molto presto) e non dormiremo più fuori.
Chilometri Chilometri di autostrade tra un trofeo e l’altro, quando siamo con i nostri amici sono un piacere il viaggio, le chiacchiere, la tensione e tutto funziona meglio, quando siamo soli tendiamo a rilassarci come in un week-end vacanziero e non va affatto bene.
Comunità La comunità dei ballerini da gara si divide in due categorie: i rivali, ovvero quelli che gareggiano con te, e gli altri, ovvero quelli che guardi con piacere e per i quali fai un tifo forsennato e disinteressato. Non saprei esattamente chi siano i miei rivali, li ho visti di sfuggita, quando ballo manco so dove vado io figuriamoci se guardo gli altri, dopo ho guardato meglio e ho individuato tre o quattro coppie odiose da uccidere, devo assolutamente trovare il modo. Gli altri mi stanno tutti simpatici, almeno fino a quando resteranno altri.
Cose che per vari motivi non si possono fare durante una gara di ballo Salutare il giudice che è anche tuo maestro di ballo Girare contromano durante la gara, ovvero in senso orario Entrare in pista saltando a piè pari la transenna Uscire di pista saltando a piè pari la transenna Mangiare un panino sul parquet (e far cadere le briciole) Perdere il parrucchino in un veloce link nel tango Mollare un ceffone (spintone/cazzotto/calcio) alla tua partner perché ha sbagliato un passo Come sopra verso il tuo partner maschietto Scoregggiare
Dar contadino Succede che dopo una brutta prestazione in pista il morale crolli sotto i tacchi vellutati delle scarpette fino a venir voglia di mollare tutto, tornare a casa e darsi al rassicurante sport del divano con vista tivvu. Siamo delle merdacce inutili e abbiamo fatto quattrocento chilometri per fare una figura squallida, pensiamo. Il nostro maestro ci guarda più imbarazzato di noi tentando di trasmettere fiducia in un domani migliore, ma non ci crede manco lui. Mortificazione e conclusione terribile “siamo dei perdenti naturali”, il gradino più basso della specie dei ballerini da sala. Merda merda merda ! Poi a mezzogiorno una decisione improvvisa: andiamoci a fare una mangiata ai castelli romani, per fortuna siamo vicini ai castelli romani ! Così Monica Marco ed io ci facciamo un piattone di spaghetti “der contadino” specialità di Albano consistente in un mix di arrabbiata e carbonara con guanciale, panna, uovo, pepe e pomodoro, il tutto annaffiato da bianco de li castelli. Una bomba energetica, una iniezione di carboidrati a pressione. Due ore dopo siamo tutti più sereni e vediamo la nostra sconfitta con altri occhi. Un piatto di pastasciutta potrebbe cambiare il nostro destino danzante. Concorrenti depressi e scoraggiati dalle sconfitte vi segnalo la cura taumaturgica: Dar Contadino – Via Appia Nuova 47 – Albano Laziale – chiuso il mercoledì.
Emozione Una gara di ballo non procura grande emozione, né tensione, né ansia, niente di speciale, né più né meno che giocare una partita di calcio a Wembley, una discesa libera a tutto spiano sulla Saslong o una gita fuori porta sul sellino posteriore della moto di Valentino Rossi, che altro potrei dire ? una semifinale del Roland Garros ? un acuto alla prima della Scala ? una discesa in parapendio ? i fuochi d’artificio la notte di San Silvestro ? un esempio vale l’altro, l’ho già detto, niente di particolare.
Facebook
Cosa c’entra Facebook con il ballo ?
anche niente di per sé , si è ballato per secoli senza sentire il bisogno di farlo sapere agli altri, ma il non farlo sapere agli altri, oggi, in questo folle mondo di bugie e social, equivale a non fare una certa cosa, non esistere, scomparire nell’anonimato.
Ed ecco che ogni podio ogni risultato, ogni vestito, acconciatura, passo, figura, ogni sorriso ogni posa un po’ elastica, una sciancata e una moina leziosa, ogni diploma, medaglia, coppa o distintivo viene pubblicata e sbandierata, sennò che la si è fatta a fare ? A chi si racconta ?
Allora ogni lunedì mattina compare sui profili dei ballerini una foto di coppia in posa tragica e sotto la nota relativa:
“Contento di essere arrivato primo / secondo / quarto / in finale / in semifinale / sul podio / di aver partecipato (significa che è andata male) ”
A volte si aggiunge la specifica dei partecipanti, è infatti fondamentale la relatività del piazzamento in base al numero: pare sia preferibile arrivare quarantesimi in una massa informe di cento asini che secondi in una gara a due coi campioni del mondo, tanto la “gente” capisce solo i numeri:
“oggi dodicesimi su quarantaquattro /
ventiduesimi su novanta / settimi su trentadue / (e perfino) centosessantesimi su duecentoventidue”
oppure
“emozionati per
la nostra prima gara in B3 / C / B2 / A
/ AS / Z / W / Y eccetera “
come se un estraneo capisse qualcosa della differenza tra classi di ballo, ma anche
“un grazie ai miei
maestri / alla mia ballerina / al mio ballerino
/ ai nostri tifosi”
Una profusione di foto e di commenti, di “mi piace”, di cuoricini e di “belli” e di “bravi”. Una valanga variopinta, una epifania di emozioni vere e tarocche. Premesso che non sono contrario ai complimenti, anzi mi piace un sacco farli e riceverli a voce, è andata che per il sovraccarico di noia in un giorno di pioggia ho silenziato tutti i post Facebook dei ballerini (non fateglielo sapere che sono permalosi assai) e così mi sono liberato di inutili e stucchevoli autocelebrazioni in abito di gala.
Finalmente soddisfatto della pulizia etnica mi sono ritrovato fra le mani una bella foto mia e di mia moglie in una posa di ballo che mi entusiasma ..……… e adesso ????? mica posso metterla io su Facebook , altrimenti la coerenza dove va a finire ?
Cazzo, è un vero dilemma !
Fatalità Se ……, se ………, se ……., se Paola non fosse andata al mercato quel mercoledì mattina, e se non avesse fatto quella strada a quell’ora esatta, se per strada non avesse incontrato mia moglie dopo anni, se non l’avesse invitata a un nuovo corso di ballo per la sera successiva, se non le avesse raccontato di un buon gruppo, di maestri simpatici, di un bell’ambiente. E se mia moglie e io non fossimo stati liberi proprio quella sera e se ovviamente non fosse stato il momento giusto dell’anno giusto della costellazione giusta ……. adesso non sarei qui a scrivere, noi non saremmo là a ballare e questo mondo da quarta dimensione sarebbe ancora invisibile ai nostri occhi.
Felicità Finire il primo ballo della serie consci di aver fatto quanto sappiamo senza errori e scontri è come segnare un goal decisivo su rigore al novantesimo. Pura, innocente felicità. Ebbene si, la si può provare anche a una certa età e per queste cose qui.
Giudici I giudici di gara sono vestiti di nero con la cravatta nera e la camicia bianca, sono numerosi, molteplici e moltiplicanti, ce ne sono per tutti i gusti, giovani, vecchi, belli e brutti e femmine fatali dalle lunghe gambe, sono tutti ballerini o ex ballerini o maestri. Sono serissimi, incorruttibili e tutti presi dalla loro missione che, guarda caso, è quella di giudicare. Ti guardano e ti valutano in dieci secondi, non hanno più tempo da dedicare ad ognuno, e in quei dieci secondi, che non sai assolutamente quali saranno, dovresti essere perfetto come postura, portamento, tempo e espressività. Questione di culo di beccare i dieci secondi giusti per chi non è già perfetto di suo. Non so come fanno i giudici a reggere due giorni di giudizio, ballo e musica devono uscirgli dalle orecchie e devono averne le mutande piene. Se io fossi un giudice dopo un’oretta comincerei a dare voti a casaccio, tanto per passare il tempo o voterei solo le donne discrete, o gli amici degli amici, ma quelli veri non faranno così vero ????
Infermiera C’è una coppia di ballerini bravi che gareggiano con noi. Non sappiamo come si chiamano né di dove siano. Mia moglie, che è anche la mia partner di ballo, qualche tempo fa ha appioppato a lei la definizione di infermiera in senso non proprio amichevole perché le fa venire a mente una persona inappuntabile, precisina, tutta seria, severa, insomma più una caposala. Un personaggio antipatico e un poco invidiato, una che non sbaglia e non sgarra mai. Da allora per noi è diventata l’”infermiera” e basta, un po’ altera un po’ gestapo. Sono più bravi di noi e ci cenciano. Bisogna avere un obiettivo nella vita e l’infermiera è il nostro, lui non conta !
Lacca E’ quella sostanza vischiosa con la quale la nostra Barbara bombarda la testa della mia partner perché sostiene che i capelli in gara devono stare così! In effetti le viene una testa da ballerina, ma non sembra più mia moglie. Pare un manichino di maxmara.
Lezioni Per mettersi in condizione di partecipare alle gare e non franare paurosamente è indispensabile prendere lezioni private di ballo. Prerogativa dei maestri di ballo è evidenziare puntualmente con sadismo ogni minima cosa che non va, ergo, ad ogni lezione si esce con la sensazione di essere peggiorati rispetto alla volta precedente, oppure di essere stabilmente statici, stazionari, inalterati, immutabili e anche un poco zucconi, insomma di non aver capito niente e di aver gettato tempo soldi e passione. Capita anche di trascorrere un’allegra ora a provare e riprovare una singola figura, magari senza musica, ogni volta con un particolare da correggere, appena se ne sistema uno se ne scombina un altro, da far cadere le braccia ! Ci vuole pazienza da parte nostra e del maestro che mentre ci guarda zompare pensa alla pastasciutta che mangerà fredda anche quella sera, occorre tenacia e tempo e fiducia in se stessi e in chi insegna. L’efficacia dell’apprendimento la si verifica solo in gara e qui la costanza alla fine paga.
Marchetti Il Marchetti è un buon ballerino e ottimo compagno, siamo amici e solidali nella buona e nella cattiva fortuna danzante. E’ il prototipo umano delle montagne russe emozionali: un momento è convinto di vincere qualsiasi gara, un minuto dopo pessimista fino all’autolesionismo. Condividere il tempo degli allenamenti con lui è tutto sommato spassoso, una volta capito che non si devono mitigare gli entusiasmi sugli alti e neppure tirar su il morale sui bassi si sta zitti e si lascia parlare. Durante una giornata di gara è più difficile lasciarlo andare su e giù perché l’alternanza emotiva è parossistica e si rischia di restarne in qualche modo coinvolti. La cosa migliore è mettere lo spazio di una tribuna tra noi e lui e cercare la concentrazione. Ci vedremo a fine ballo quando saremo anche noi dell’umore giusto per un bel giro in giostra.
Metamorfosi Il parquet delle gare rappresenta simbolicamente il palazzo del principe nella sera del gran ballo di corte. Negli spogliatoi restano rospi e cenerentole, fattorini, imbianchini, cassiere e manovali, per incanto nella sala compaiono granduchi e ambasciatori al fianco di baronesse e dame di alto lignaggio truccate a festa, maschere e scollature che abbagliano a venti metri di distanza e sconcertano a tu per tu. Tutto è lecito nella trasformazione, ma le scarpette di cenerentola hanno la suola in sugatto e i salvatacchi in plastica.
Partner Di vita e naturalmente di ballo. Cosa chiedere di più di una donna che segue le tue aspirazioni e ispirazioni con fiducia e senza discutere ? Nulla, non chiedo niente di più, ci mancherebbe !!!!
Pista e mezza pista La pista di ballo delle gare è quasi sempre il parquet di una palestra di basket dalla quale sono spariti fortunatamente i tabelloni coi canestri onde evitare capocciate dolorose. Nelle gare nazionali si balla sempre a pista intera con numero che può arrivare a tredici coppie, è un po’ affollato, ma col tempo si impara a districarsi. Nei trofei accade talvolta (spesso) che per far prima si gareggi a mezza pista ovvero si divida il parquet con una fioriera in una pista A e una pista B di metà dimensioni e di conseguenza si raddoppi il numero dei ballerini i gara. In pratica da dodici, tredici si passa in sol colpo a ventiquattro, ventisei coppie. E’ una equazione singolare: si divide la superficie e si aumenta l’affollamento, come dire che se nel vostro appartamento di 50 metri vivete in quattro e ci state stretti ve ne diamo due di 25 e vi ci facciano stare in otto. Anche i giudici raddoppiano e si schierano ovviamente ai lati delle due semipiste. Il risultato è una folla da veglione di capodanno al Kursaal in abito da sera. Bellissimo. Un casino totale nel quale anche i più navigati sbarullano perdendo l’orientamento. Può succedere di calpestare un giudice che indietreggia imbarazzato nei pressi di un tabellone, ma il massimo della libidine sarebbe iniziare a ballare nella pista A e finire nella B per vedere se qualcuno se ne accorge. Comunque la mezza pista è un accidente per le coppie che devono decidere che tipo di tracciato seguire e come; in genere si studia il percorso prima a mente fredda, poi una volta in pista si disfa l’idea e si improvvisa pericolosamente.
Pride and honour Onore al merito alle coppie che si sfidano nei tornei e nei campionati con serietà professionale e passione dilettantistica. Onore a che vince con regolarità e migliora i propri limiti spostando l’assicella della difficoltà sempre oltre, con passione e convinzione, senza darsi arie, senza fare il fenomeno. Onore a chi ci mette tutto quel che ha, onore a chi vince e si trasforma per noi in meta, in mito, in muto, in mitomuto e in metamoto ….. insomma un obiettivo da eguagliare. E terra addosso a chi perde !
Spogliatoi Uno dei luoghi più incredibili che mi sia capitato di vedere: bugigattoli fetidi senza armadietti con bagni ingiovabili, qualche panca e rari ganci per appendere. Tuguri presi d’assalto da dozzine di persone mature ognuna con un armamentario di bagagli, sacche, valigie, stender, beauty e bauli da fare spavento. I ballerini si portano orgogliosamente appresso quantità enormi di roba complicata da indossare: gonne, sottogonne, collane, calze, strass e poi frac, fasce, giustacuori, fiocchini camicie bizzarre, scarpe affilate come rasoi, fusciacche, banderuole, giarrettiere e ancora trucchi, rossetti, ombretti, vaporetti, calamaretti da appiccicare su tutte le parte del corpo. Più uno sale di categoria più bagagli si tira dietro. Poiché i cosiddetti spogliatoi sono scarsi e minuscoli ecco che corridoi, interstizi, angolini bui, anfratti umidi e scalinate scalcinate si trasformano per miracolo in camerini pullulanti di signore e signori in mutande. La vestizione è paragonabile a quella dei toreri, una cerimonia sacra da fare però nel casino generale, uno a fianco dell’altra senza pudore, Nel tentativo di infilarmi i pantaloni ho cacciato una gamba nel calzoni del frac di un vicino mentre la sua diletta consorte agganciava il reggipetto per metà al proprio seno e per metà al ginocchio di un geometra di Busto Arsizio di classe B2. Alla fine tutto va magicamente al suo posto e le coppie, lucide e agghindate di tutto punto, salgono le scale e si presentano soddisfatte alle luci della ribalta.
Toilette
Ci risiamo, devo soffermarmi ancora sui bisogni corporali, ma il fatto è che ho sperimentato una nuova perla: gabinetto senza luce e senza chiave. Si aprono una serie di possibilità affidate al libero arbitrio A si fanno le nostre faccende a porta spalancata (frequente) o almeno socchiusa B si fanno le nostre faccende al buio
La scelta è condizionata dal livello di pudore intrinseco nella nostra personalità e pure dal tipo di bisogno fisiologico. A voi la scelta, ma in entrambi i casi dovremo svolgere le nostre funzioni corporali senza poter chiudere a chiave, e da qui si apre una nuova serie di alternative – si fa sorvegliare la porta da un complice (moglie, marito, passante pietoso) sarebbe l’opzione A1) oppure l’opzione B1) per chi opta per il buio – si sta alla sorte non facendo sorvegliare a nessuno (rischio sorpresa) ovvero opzione A2) o B2) – ci si siede sulla tazza del cesso tendendo la maniglia fermamente con una mano (vale per maschietti e femminucce) in questo caso è la scelta B3) – si sta in piedi tenendo la maniglia serrata alle proprie spalle (vale solo per i maschietti) opzione B4) Tutto ciò ovviamente al buio completo
E da qui un’altra serie di incognite valide solo per B3) e B4) – se si tiene la maniglia con la mano come si fa a spogliarsi ? – siete capaci di spogliarvi con una sola mano ? – se si tiene la maniglia con una mano come si fa a pulire quello che si deve pulire ? – ce la facciamo con una sola mano ?
Occorre porsi prioritariamente alcune domande filosofiche: tutti i casi B) – ci si è premurati di rintracciare la carta igienica in anticipo ? – soprattutto esiste carta igienica nelle vicinanze ? – saremo in grado di rintracciarla al buio pesto ? – dove la si è posizionata ? Tutto questo tralasciando le aggravanti riportate ai paragrafi Bagni e Body ovvero sulla pulizia ed igiene dei locali e sull’abbigliamento del ballerino medio.
Morale della favola
E’ possibile tenere un rotolo di carta igienica in equilibrio su un ginocchio mentre siamo seduti coi pantaloni del frac abbassati su un cesso fetido completamente al buio intenti a trattenere la maniglia della porta con la mano sinistra nella speranza di fare presto e bene quel che si deve fare quindi terminati i bisogni con una sola mano srotolare la carta igienica (senza aiutarsi con i denti è ovvio) pulire quel che si deve pulire, indi rivestirsi senza sporcare i pantaloni o la camicia e rientrare in pista giusto per un giro di valzer viennese come se nulla fosse ? (Come si evince si è optato per una B3, una delle più complesse) Yes we can !
P.S.
Opps, dimenticavo l’ultima possibilità, la più negletta, sfacciata e scostumata: fare le proprie faccende anche le più …. corpose … a porta aperta fregandosene di tutto e di tutti. In tal caso si superano gli inconvenienti del buio e della chiave… si ritorna un poco bambini. Sarebbe una specie di doppia AA) il massimo. Vi auguro di non imbattervi mai in un tipo del genere, .. potreste sentire una vocina che viene dai gabinetti … “babboooo ho fatto ! mi vieni a pulire ?”
Alle ore 00.00 circa di ieri notte, cioè di oggi, si presentavano presso questo comando il maresciallo Battaglia e l’ausiliario Rino Badalà posizionato seppure in piedi alle spalle del maresciallo stesso, unico assente l’autista agente semplice Tasselli Gerardo che trattenevasi semiaddormentato nell’auto di servizio.
La truppa trascinava seco in manette tale Giandomenico Serra di anni 53 e mesi 4, nato a Pozzolatico e residente a Decimumannu (CA), censurato varie volte per reati minori contro la pubblica quiete.
Scossosi dallo stupore, vista l’ora desueta, l’agente Tumiriello richiedeva ulteriori informazioni al maresciallo Battaglia sul perché ed il percome e soprattutto come mai a tale ora tarda. A tali precise richieste, utili peraltro alla compilazione del modulo RAV 74 del “Manuale delle corrette modalità di arresto e detenzione”, il maresciallo in maniera piuttosto esagitata asseriva che trattavasi dell’autore del furto della lancia metallica della statua di San Michele Arcangelo risalente al XVII secolo che trovavasi nell’omonima chiesa di Cagliari, furto dai più definito sacrilego e vilipendioso che destò sgomento nella locale popolazione di credenti e non.
I fatti:
Lo scorso mese di aprile un malvivente si introduceva nella chiesa di San Michele, fingendosi un comune devoto e approfittando del fatto che la statua dell’Arcangelo, rimessa a nuovo da un lungo e costoso restauro pagato dalla banca locale, era stata posizionata davanti all’altare invece che nella sua nicchia centrale, aveva rubato la lancia uscendo poi dal luogo di culto con cosiddetta noncscialans usando la spada di San Michele come un comune bastone da passeggio, sebbene molto appuntito, e passando dunque inosservato fra la folla dei fedeli che peraltro risultava assente. Il furto era stato denunciato il 19 aprile allorquando il sacrestano, tale Virgilio Amoruso di anni 97 disoccupato, si era accorto del sacrilego furto in quanto il Santo, ad una attenta osservazione, risultava in posizione definita ambigua in quanto il braccio destro in alto impugnava qualcosa che non c’era, ovvero la lancia di cui sopra.
Il parroco aveva quindi fatto prontamente togliere dalla mano sinistra dell’Arcangelo anche la bilancia per evitare che facesse la stessa fine della lancia e San Michele risultava quindi desolatamente a mani vuote ed aveva infine esortato i fedeli a pregare un’Ave Maria per chi si era reso colpevole dello sfregio e che, sempre a detta del religioso, farà poco guadagno nel venderla, a meno che non voglia usarla per altri riti non meglio definiti.
Veniva dunque allertato il comando generale che assegnava il caso definito spinoso al drappello del Maresciallo Battaglia ritenuto a ben vedere specializzato in tutela del patrimonio artistico in quanto notoriamente appassionato delle videotrasmissioni di tale Alberto Angela, incensurato. La pattuglia investigava prontamente tralasciando vari casi di pedinamento di prostitute in corso. Ricostruiti faticosamente i fatti grazie a un serrato interrogatorio del sacrestano, furono poscia esaminati i filmati della videosorveglianza della chiesa e di alcuni negozi della zona che portarono alla identificazione dell’autore sorpreso nell’atto efferato, ovvero il ben riconoscibile dai tratti somatici Serra, già tristemente noto alle autorità locali per atti vandalici e spesso inconsulti.
Rintracciato prontamente il 53enne Serra veniva messo alle strette dall’atteggiamento minaccioso del Maresciallo e confessava adducendo motivazioni definite di matrice spirituale: soffriva nel vedere la lancia che lacerava le carni al Diavolo. Così approfittando di un momento di solitudine e penombra della chiesa, aveva sfilato dalle mani della statua lignea seicentesca di San Michele,. «È stato il diavolo a ordinarmi di rubarla. Non sopportava più il dolore provocato da quella lancia, specialmente temendo che venisse direzionata verso le parti basse».
Il Serra confessava inoltre di averla tenuta gelosamente per qualche ora, il tempo di arrivare in piazza Matteotti e prendere il primo autobus per Flumini e solo lì abbandonava la sacra arma in un canneto dove a tempo debito saranno indirizzate le ricerche. Precisasi che la lancia non è autentica è risale al XIX secolo, è di metallo ma non di pregio.
A questo punto avendo reperito i dati necessari alla compilazione del modulo RAV 74 l’agente Tumiriello dava il nulla osta affinché il Serra venisse tradotto in ceppi presso la camera di sicurezza locale e ivi venisse trattenuto a disposizione in attesa di essere incriminato per demenza senile e sottoposto a giudizio sommario per atti efferati contro la religione cattolica e non, come da regolamento, oppure essere trasferito al locale Ospedale psichiatrico.
Scritto, letto e riletto e firmato dal sottoscritto verbalizzante
messaggio rivolto ai miei coetanei che si scoglionano perché non sanno cosa fare della loro giornata e mugolano di noia con la moglie spazientita lamentandosi del futuro, umarelli per vocazione: inventatevi qualcosa, quasiasi cosa.
Non è una gita, non un trekking e neppure un pellegrinaggio, ma un
viaggio da costruire prima di tutto nella testa e poi nelle gambe, alla ricerca
di una sfida mai pensata in gioventù, emersa adesso quando rasenta il limite
delle mie possibilità. Si potrebbe anche dire: come cercare rogne quando tutto
filerebbe liscio !
Ma di cosa si tratta,
Si tratta del Cammino di Fatima detto anche “Caminho do Tejo”: 5 giorni e 143 chilometri lungo il fiume Tago che tradotto in soldoni sono 28,6 km al giorno di media, con due tappe di 33 km, decisamente troppi per le mie capacità: mai stato un camminatore, né aspiro a esserlo, per sole tre volte mi sono avventurato per percorsi così lunghi, in compagnia e prendendola comunque con molta calma.
Si tratta soprattutto di farlo da solo, senza gli
amici fidati, solo con le mie incertezze e fragilità, con l’età che avanza
crudelmente, il dolore alla schiena che va e viene, la sordità galoppante che
mi isola e il raffreddore che ho preso proprio oggi.
Si tratta di provare (e perché no ?).
Di idee un po’ folli ne vengono a tutti, a me
vengono, e non tutte si possono cestinare come impossibili o semplicemente come
cazzate, ogni tanto qualcuna si può trasformare in obiettivo perché è bello
vivere anche di sfide, di scommesse con se stessi.
L’idea di Fatima nasce dopo Santiago quattro anni fa, un pomeriggio a una celebrazione dei pellegrini officiata da Padre Fabio dei Guanelliniani di Santiago: mentre lui parlava di pellegrinaggi interiori, di scoperta degli altri e di spiritualità, preso da un raptus emotivo mi son detto: “voglio andare a Fatima, e lo voglio fare da solo !” e perché cazzo mi sia venuto in mente proprio non lo so.
Poi il covid, e gli impegni familiari e tutto il resto hanno ricacciato indietro l’dea, fino all’autunno scorso quando si è ripresentata, prima timidamente come una facezia, poi sempre più concretamente, ma vuoi vedere …. ma no dai………ma si, si può fare ……maddaiii !, e così rimuginando, tanto per esplorare, ho iniziato a consultare internet, e si sa che internet è un demone che quando ti prende sei finito e non ragioni più con lucidità.
Esistono pochi siti web che forniscono informazioni sul percorso, tracce, logistica dove esiste, spiritualità, il principale è “Caminhos de Fatima” (https://www.caminhosdefatima.org/pt/) , ci troviamo quasi tutto comprese le tracce gps per me indispensabili vista la mia predisposizione a perdere frequentemente la strada.
Non esistono guide in italiano.
La prima esigenza è stata quella di trasformare le cinque tappe previste in sette tappe di una ventina di chilometri ciascuna. In questa zona non esiste un sistema di accoglienza diffuso per cui è stato necessario dividere le giornate sulla base degli alloggi disponibili da individuare e prenotare prima di partire e non necessariamente in base alle tappe canoniche.
Ulteriore esigenza: sono abituato alle comodità, non voglio dormire in un ostello, in tenda, in sacco a pelo o in qualche caserma di pompieri, non mi piace e non mi sarebbe né di stimolo né di conforto, quindi la ricerca si è indirizzata su bed and breakfast, affittacamere, pensioni o alberghi, in ordine di preferenza.
Altra premessa: non so leggere le mappe, il mio amico Andrea ha provato più volte e inutilmente a spiegarmi, ma non ho dimestichezza con la bussola, il mio senso di orientamento è nullo. Quindi prima di tutto occorrevano le tracce GPS.
Le tracce GPS sono reperibili sia sul sito del
Caminho de Fatima sia sulla applicazione Wikiloc, sia su alcuni siti del
cammino di Santiago Portoghese. Non tutte le tracce coincidono esattamente per
cui è stato necessario fare una sintesi
e adottare un percorso, cioè costruire le mie tracce sulla mappa (tutto
virtuale ovviamente).
Poi dovevo segnarmi i centri abitati lungo il
percorso e tracciarli secondo il chilometraggio, appoggiandomi dove possibile
alle tappe ufficiali ed inserendo le deviazioni o le tappe intermedie dove
necessario.
Ho familiarizzato con l’area geografica e mi sono
studiato le mappe e le strade, è stata una attività curiosa e divertente che ha
occupato il mese di febbraio del 2023.
A questo punto avevo chiaro le zone dove avrei dovuto ricercare un alloggio tenendo conto che si tratta all’inizio di squallide zone industriali e successivamente di piccoli centri abitati. Il bello di questa fase è che il lavoro si basava tutto sulla immaginazione, considerando che tra un puntino e l’altro di Google Maps che magari sembrano vicini ci sono magari quattro, cinque chilometri da fare a piedi che a fine giornata non sono per nulla gradevoli.
L’individuazione di possibili alloggi collocati alle giuste distanze ha occupato il mese di marzo. E’ stato divertente.
Prima poi si doveva arrivare al conquibus, ovvero prenotare il volo; dopo una serie di tentennamenti, indecisioni, dubbi e menate varie il 6 aprile ho prenotato i voli Ryanair che ovviamente sono costati il doppio rispetto ai mesi precedenti (credo che questa gita fuori porta verrà a costare un botto di soldi !)
I giorni successivi sono stati dedicati alla prenotazione degli alloggi (camera con bagno privato) e siamo arrivati a metà aprile, meno di un mese dalla partenza e ….basta non c’erano più scuse bisognava macinare chilometri per fare la gamba. Ecco diciamo che questa parte è stata un pochino trascurata e in effetti sto partendo con un bel quaderno fitto di appunti, con una serie infinita di tracce sul Garmin e sul telefono, ma …… senza allenamento.
Questo mi riporta al mio stato di umarello in pectore, ma, cazzo, com’era bello in inverno stare al calduccio a immaginare il viaggio, quasi quasi non c’era nemmeno bisogno di partire davvero!
Ed eccomi finalmente solo soletto a Lisbona dopo un
volo buono, emozionante l’atterraggio fra i palazzi col pilota che correggeva
l’assetto del velivolo col joystick: oscillazione da Luna park.
Tutto secondo i piani: la metro è pulita, precisa, economica
e chiara da leggere, ordinata e funzionale, ottima impressione. Sbarcato alla
Placa do Pombal che è enorme, impressionante nel suo saliscendi circolare,
individuato con qualche problemino l’alloggio Good Marquez Suites (71 euro) che
sta nello stesso palazzo dell’Ambasciata del Belgio. La receptionist è un
tantino spazientita perché non afferro il suo inglese che peraltro mi sembra
corretto, ma il rincoglionito sono io che non seguo, non capisco e, a
differenza del passato, non mi sforzo nemmeno di capire.
Finalmente in camera (cameretta) con finestra cieca su mezzanino (no spoiler).
Poi di nuovo Metro alla Placa do Comercio, bella, un
po’ Trieste, un po’ Napoli o Barcellona o altre città di mare che non conoscerò
mai.
All’Ufficio del Turismo non danno più le Credenziali
del Cammino, di nessun Cammino che sia Santiago o Fatima è uguale, quindi
informazione sbagliata ricevuta direttamente con e.mail dall‘ente del Turismo
Portoghese e ahi ahi l’efficienza
lusitana mi cade un poco, così mi sembra d’essere ancora in Italia.
Allora vado alla vicina Cattedrale da Sé che è pure l’inizio del Caminho: ingresso 6 euro e io da buon pellegrino non sono entrato. Qui hanno finito le Credenziali del Caminho di Fatima, ho il sospetto che le abbiano finite da molto, molto tempo, anzi che magari non ci siano mai state, in compenso per due euro mi hanno consegnato la Credenziale di Santiago, e va bene lo stesso, tanto per Fatima manco csiste la certificazione.
L’impressione è che non glie ne freghi niente del Caminho di Fatima e Santiago del resto è molto lontana, inizio a pensare che non saremo in tanti per strada e a me va pure bene così.
Poi ho fatto qualche, anzi molti giri nel quartiere di Alfama (due ore
piene di giri) per vedere i vicoli caratteristici e cercare pure un ristorante.
In effetti di ristoranti, trattorie, bettole con Fado e osterie ce ne sono un miliardo e per tutti i gusti e baccalà e sardine quante ne volete; mi sono incaponito con Tripadvisor e ho cercato uno, due, tre posti assolutamente introvabili, o chiusi per turno o per cessata attività, alla fine ho trovato O Beco, anche troppo riservato, che aveva un sacco di pallini su Tripadvisor e mi sono fatto la mia prima Sagres e il “baccalao com Natas” che non so cosa sia, forse besciamella, panna o qualche altra cosa molliccia servita in una padella rovente. Non sono soddisfatto.
Nel frattempo noto che le donne di Lisboa sono belle e apparentemente morbide e gli uomini giovani e magri, sembrano calciatori del Benfica e mi suggeriscono nomi come Joao, Ricardo e Sergio, mi sembra di conoscerli da sempre, sono abbronzati e il colore della pelle è magnificamente sfumato dal bianco al nero. Invidio questa loro cadenza strascicata e dolce, come una serena tristezza da Fado.
Per i pochi che non lo sapessero il Fado è un genere di musica popolare tipica delle città di Lisbona e Coimbra, riconosciuto dall’Unesco come patrimonio intangibile dell’umanità.
Viene eseguito da una formazione musicale composta dalla voce (fadista) che dialoga con la guitarra portuguesa a 12 corde, accompagnati dalla chitarra ritmica o viola a cui possono essere aggiunti un basso portoghese (baixo) e una seconda chitarra portoghese.
Il nome deriva dal latino fatum (destino) in quanto si ispira al tipico sentimento portoghese della saudade e racconta temi di emigrazione, di lontananza, di separazione, dolore e sofferenza. Questo dice Wikipedia e chi siamo noi per dubitare ?, aggiungo che dopo dieci minuti di Fado la malinconia raggiunge inevitabilmente le parti basse dell’addome e fa cadere i coglioni a terra, in caso di maschi, cosa accade alle donne non so.
Comunque all’Alfama ogni ristorante che si rispetti ha qualcuno triste che canta il Fado tutta la
sera fino a notte inoltrata, ecco perché è opportuno mangiare da qualche altra
parte.
Caffè e gustosa pasterella portoghese in un bar
davanti alla Cattedrale e rientro nella mia casa di stasera:
Puzza di fogna all’ingresso,
Puzza di fogna in camera
Scarafaggio gigante spiaccicato tramite
scarpone e immortalato per la recensione
che sarà pessima.
Insomma …….
In questo giorno ho molto guardato e poco pensato,
non mi sono sentito solo, sono gasato al punto giusto e non vedo l’ora di
partire.
Mi addormento col pensiero di sentirmi qualcosa zampettare sulle gambe e non è una bella sensazione, speriamo di riposare.
Percorso snodato esattamente secondo i miei progetti invernali: 21 chilometri con pochissimi errori. Arrivato alle 15,45 locali stanco, molto stanco.
Il Miratejo, una sottospecie di residencial, nel suo pregustato squallore mi è parso un
paradiso quando sbucando dall’ennesimo cavalcavia della ferrovia l’ho
intravisto in fondo alla statale 10 dei miei sogni invernali, laggiù, proprio
di fianco al distributore Galp e proprio come cento volte l’avevo esplorato su
Google Maps. Che bello !
La camera è spartana ma profuma di pulito ed è una sensazione bellissima e necessaria, la signora è gentile e non pretende di parlare in inglese, si esprime nel linguaggio universale dei gesti: no documenti, 45 euro in contanti, nessuna registrazione, in cima alla scala a destra, ci siamo intesi benissimo e prima di salire mi sono fatto una Sagres gelata (adoro questa birra leggera come in Spagna ho adorato la Estrella Galicia, sarà un caso ?).
Incrociato tre pellegrini in tutta la giornata: il
primo vicino alla Cattedrale, mentre stavo per partire, ci siamo parlati senza
capirci, eravamo abbigliati da pellegrini e spiccavamo come due mosche sulla
panna in mezzo a turisti e lisbonesi svaccati nei bar, e questo ci ha attratto
l’uno verso l’altro: lui aspettava l’apertura della chiesa per la credenziale e
il timbro, io invece ho fatto tutto ieri sera. Non ho capito se andava o
tornava da Santiago o da Fatima o da un altro cazzo di posto, il mio inglese è
primitivo. Addio.
Il secondo era un distinto signore di mezza età,
pellegrino nei modi e nel vestiario, che cercava i segnali nel centro di
Lisbona; abbiamo fatto qualche chilometro insieme, non più di un paio, uno
avanti l’altro indietro di cento passi e poi viceversa, quello avanti inforcava
un bivio e cercava la muta approvazione dell’altro con lo sguardo, e se si
accorgeva di un errore tornava sui propri passi facendo un breve cenno di
intesa all’altro. In effetti c’è un bel pezzo di Lisbona nel quale le
segnalazioni del Cammino sono carenti. Lui viaggiava con un libro/guida molto approssimativo, io con
il mio infallibile Gps da polso ma con minor senso dell’orientamento. Direi che
siamo stati vicendevolmente di aiuto per quel poco che ci serviva. Ci siamo
persi di vista dopo un po’ e senza rimpianti. Voleva stare da solo anche lui.
In effetti credo che abbiamo scambiato non più di tre parole.
Il terzo era un asiatico in bicicletta con un
discreto bagaglio distribuito su tutti gli appoggi del mezzo meccanico e non,
che ho incrociato per pochi minuti sulla statale nr. 10 di Santa Iria. Credo
che lui abbia proseguito su quella strada diretta ma pericolosa mentre io sono
uscito subito verso un altro percorso, Ci siamo scambiati un “Buon Cammino” che detto a uno in
bicicletta è un po’ un controsenso, ma non saprei cosa altro augurare.
A proposito della statale nr. 10, era una mia opzione della prima stesura quando decisi che mi sarei distaccato dal Cammino ufficiale per prendere una scorciatoia a mia capocchia personale.
Avevo già subodorato dalle foto che non sarebbe stato il caso ed avevo quindi individuato una terza ulteriore opzione, un poco più lunga ma più sicura, a fianco all’autostrada, una volta sul posto, poi, cioè oggi, ho avuto la conferma: traffico sostenutissimo sulla nr. 10 e niente marciapiede, pericolo costante e gas di scarico, sarebbe stata la via più diretta verso Santa Iria, ma una missione suicida ed io non sono qui per suicidarmi. Auguri al pellegrino ciclista con tratti somatici orientali. Io passo di là !
E’ stata una giornata dalle emozioni contrastanti: rabbia per la mancanza di indicazioni del percorso, delusione per il percorso stesso che è veramente orrendo diviso tra fatiscenti quartieri di Lisbona e la periferia infinita industriale, ferrovie, porto, autostrade fabbriche cavalcavia e tutta strada asfaltata. Unica zona interessante il quartiere del “Pavillao delle Nacoes” sul fiume Tago, moderna, imponente sfavillante, un poco fuori contesto e il grande ponte sul Tago, che qui si chiama Tejo.
Ma anche consapevolezza di farcela con le mie gambe
e le mie scelte, soprattutto grande soddisfazione. Anche stupore infantile,
curiosità, appagamento gioioso nel percorrere realmente le strade inseguite su
internet per mesi, nel constatare di persona che avevo avuto le impressioni
corrette. Mi sono divertito moltissimo quando ho trovato la mia strada
alternativa che avevo pensato a casa e che si rivelava esattamente come immaginavo e il tutto ha
funzionato bene. Bellissima sensazione.
Dal chilometro 17 ho avuto una crisi di gamba e di
sconforto che mi ha accompagnato fino alla fine, l’ultimo tratto a fianco
dell’autostrada con sole e camion è stato molto lungo e faticoso, mi sembrava
di non arrivare mai.
Poi in camera a leccarsi le ferite e a bere Sagres. Cena al Miratejo stesso con “bife portugues” (bistecca alla portoghese ovvero con uovo affrittellato e montagna di patate) per un costo di 14 euro e 10. Discreta.
Prima di dormire ho studiato ancora una volta il
percorso di ricongiunzione col Camino che mi aspetta domani mattina, saranno 4
chilometri di statale 10 che un poco mi preoccupano. Insomma per adesso sto
bene, anzi benissimo, a pancia piena e
senza puzza di fogna. Condiviso con la famiglia, con Fulvio e Andrea che sono i
soli che mi seguono con interesse e affetto.
Due tracce divise: la prima fino a Sobradinho 13,29
chilometri in 3 ore e 47 minuti fino alla sosta, poi da Sobradinho a Vila
Franca de Xira 6,49 chilometri e 1 ora e 39, per un totale giornaliero di 19,78
chilometri.
Anche i percorsi sono stati a loro volta separati,
il primo breve dal Miratejo fino al ricongiungimento col Caminho ed il secondo
fino alla fine della giornata.
Alla fine i conti tornano con quanto previsto: la prima tappa ufficiale del
Caminho di 44 Km è diventata due tappe distinte di 21 e
19 con alcune deviazioni che a forza di taglia, modifica e cuci hanno portato un risparmio di 4 chilometri e
sono diventate adatte alle mie possibilità. Sono molto fiero di questo primo
risultato tanto da consigliarlo ai futuri arditi camminatori.
Colazione sobria al Miratejo, a proposito in Portogallo fanno il caffè come in Italia. I primi chilometri sulla statale 10 sono stati molto brutti con un traffico bestiale, molti camion e niente marciapiedi. Ho trovato lì per lì una serie di deviazioni che hanno allungato un poco il percorso ma evitato il più possibile la statale con più attraversamenti della linea ferroviaria ad alta velocità che sta proprio fra i maroni del percorso che va un po’ di qua e un po’ di là. Poi un nuovo quartiere in costruzione sul Tago e finalmente il ricongiungimento con il Caminho. Quando ho rivisto la prima indicazione di Fatima mi sono sentito lo zaino più leggero. Dalla Praia des Pescadeores in poi inizia il vero cammino perché fino a questo punto ho attraversato Lisbona e la periferia, le cittadine satellite e la zona industriale, adesso finalmente siamo nella natura.
Molti chilometri fra canneti infiniti e una moltitudine di podisti ultraleggeri ed ultrasudati che non salutano, fa molto caldo anche di mattina. Da Alverca, dopo il museo dell’aereonautica, si rientra in una piccola zona industriale e poi di nuovo verso la statale 10 e la malefica ferrovia, ancora un po’ di qua e un po’ di là.
Vorrei fermarmi a mangiare qualcosa ma sono uno sprovveduto e non ho portato niente con me e per la strada non si incontra un bar o un alimentari nemmeno a pagarlo a peso d’oro. Alla fine arrivo in un posto che si chiama Sobradinho che pare un paese popolato e uscendo dalla statale trovo un baretto salutare dove sedermi e riposare un poco, mangiare, farmi una birra gelata e riordinare le idee. Il ragazzo di servizio al bar, il figlio, appare un poco ritardato, il padre è indaffarato con i tavoli del piano di sopra dove gli operai mangiano e va su e giù per le scale per non trascurare i clienti e nel contempo per dare sostegno al figlio evidentemente impacciato. Mi fanno una tenerezza infinita. Io passo di sfuggita, loro restano qui ! imprimo in memoria questa scena per ricordare sempre che esistono persone che ogni giorno affrontano con pazienza difficoltà enormi.
La prima traccia Gps si interrompe qui e da questo
stesso posto parte la nuova traccia che mi condurrà a fine giornata.
Alla ripartenza da Sobradinho incontro Ricardo, l’unico essere vivente con il quale ho socializzato in undici giorni. Un tipo solare.
L’impatto con Ricardo è stato singolare: questo
individuo in tenuta da mare mi stava seguendo da un po’ ed io da vero omarello,
soli in mezzo al nulla, cominciavo a temere che volesse semplicemente fregarmi
il portafogli, magari dopo una botta in testa, per cui cercavo di stare alla
larga e non dare confidenza. A un certo punto visto che mi si era affiancato e non
potevo più ignorarlo ci siamo parlati in inglese portogallato.
E come si fa presto a cambiare opinione e
atteggiamento.
La storia di Ricardo è questa: sposato e con due
figli è partito questa mattina da casa sua a Lisbona, una quarantina di
chilometri fa, e intende arrivare a Fatima domani 13 maggio anniversario
dell’apparizione ai pastorelli.
“Come farai ?” chiedo io, “camminerò giorno e notte”,
dice lui, “e dove riposerai ?” dico io, “dove capiterà” dice, ed io dico: “cazzo!”
(in italiano) e lui non risponde ma sorride.
Ora, come farà a fare 150 chilometri in due giorni
io proprio non lo immagino nemmeno, ma mi fido di lui: è alto, longilineo e in
forma, viaggia con la maglietta della nazionale di calcio portoghese, bermuda e
scarpe di gomma, un cappellino e occhiali da sole, l’antitesi del pellegrino
sovraccarico e ansimante, un gazzellone dinoccolato, gambe lunghe = falcata
ampia.
Ha uno zaino microscopico e la determinazione nelle parole e nella leggerezza con cui cammina. Cavolo se mi piace ! arrivi pure a Fatima o dove lo porteranno le forze, ma quest‘uomo vorrei che vivesse vicino a casa mia e vorrei prendere molte birre con lui, anche senza parlare molto. Amo i sognatori, amo quelli che credono nelle sfide impossibili e questo è uno di quelli.
Non diciamo molto: qualche informazione familiare,
qualche considerazione sulla strada da fare e una sana compagnia silenziosa. Dice
che suo padre è un poco più vecchio di me e vive in Algarve dove cammina ogni giorno. “Bene
a sapersi” dico “a me invece non piace camminare” e lui mi
guarda un po’ sconcertato, “allora cosa ci fai qui ?” chiede, “Mah ! non saprei
esattamente”, rispondo.
La strada è piacevole, si capisce che poco lontano si
sta preparando una festa per la sera, si sentono le prove di un orchestrina e
la frenesia di quelli che incontriamo per strada. Arriviamo infine a Vila Franca
de Xira, io stanco morto e lui bello pimpante, ma io mi fermo qui e cerco il
mio alloggio e lui prosegue. Ci facciamo una foto insieme, questa foto qui
sopra, e ci auguriamo un buon camino, e tutti e due ne abbiamo davvero bisogno.
Rifletto sulla diffidenza che ho provato nei suoi
confronti e penso che anni fa non sarei stato così, sono diventato cinico e
sospettoso con l’età e la cosa non mi piace affatto. Se si fosse presentato
Jack lo squartatore abbigliato da pellegrino con scarponi e zaino non avrei
avuto alcun sospetto. Che sia diventato un benpensante ?
A malincuore lo lascio, attraverso ancora una volta la ferrovia e sono in paese. Mi consola pensare che da qualche parte di mondo
Ricardo esiste davvero.
Girare significa conoscere realtà inaspettate,
imparare, condividere anche solo un breve tratto di strada, accenni di vita. E’
fantastico.
Da casa mi inviano un video di Alessandro che inizia a camminare, è un messaggio per me, ci accomuna questa attività sulla quale siamo entrambi concentrati, ognuno col suo sforzo. Muoversi in libertà è una fortuna che non tutti apprezzano appieno.
Riguardo la foto con Ricardo: sembro incinto, mi
vedo brutto, affaticato, goffo; non mi piaccio, specialmente in questa fase della vita, mi
sembra di essere troppo simile al mio anziano fratello dal quale invece vorrei
essere completamente diverso in tutto, quasi vorrei non ci fossero elementi che
ci accomunano, e invece ! Se lui è veramente la mia proiezione nella vecchiaia
sono preoccupato.
Si può essere amici con un fratello, o una sorella ? A me non è capitato e tutto sommato non ne ho mai sentito la necessità, i fratelli me li sono trovati nascendo e così siamo andati avanti per tradizione e appartenenza. Gli amici me li sono cercati e li ho trovati e più o meno intensamente custoditi, sono stati una scelta inequivocabile.
Pernottamento all’albergue/ostello “Suites & Apartments”, molto pulito
ed efficiente e chiusura di serata in trattoria tipica “Espeto Real” (consigliato da Tripadvisor, ma….non mi freghi più).
Mangiato male: zuppa del giorno ovvero acqua bollente con tracce di bietola e “Arroz de Polvo”, specialità locale ovvero riso con moscardini in brodaglia. Mentre ceno alla tv trasmettono in diretta una corrida, una corrida vera intendo, quella con i tori, con giovanotti che per sport uccidono a sangue freddo animali fra le grida di giubilo degli spettatori paganti, con tanto di replay dei momenti più trucidi. Nella trattoria aficionados locali di mezza età sono molto presi dalla competizione fra toreri con la faccia di bambini e tori condannati a morte atroce, sono esperti e riconoscono toreri e banderilleri. Di corride ne hanno fatte vedere tre di fila. E già avevo mangiato male !
Notte tranquilla, oggi ho preso il sole.
Prima di dormire e ancora l’indomani mi vien fatto
di pensare ancora a Ricardo: che strada starà percorrendo in quel momento, se sarà riuscito a raggiungere Fatima per il
13 maggio. E’ la cosa migliore che mi sia capitata oggi.
Tutta seguendo il tracciato tradizionale ben segnalato 21,38 chilometri sotto il sole di questo sabato, quando tocchiamo i 100 chilometri da Fatima per quasi 7 ore di marcia. Seguire il cammino è stato semplice e rilassante; è il terzo giorno di marcia e dovrebbe essere il più duro, domani si dice che andrà meglio perché fisico e gambe si saranno adattate a questo ritmo, ma i piedi fanno un po’ male, il secondo dito di entrambi i piedi, uno ha l’unghia pestata e duole sopra, l’altro è leggermente spaccato di lato e duole per lo sfregamento. Per fortuna calze e scarponi formano un tutt’uno col piede e bloccano i movimenti articolari delle dita, tanto da poter camminare agevolmente e con un po’ di precauzione. So comunque che dovrò convivere con questa situazione fino alla fine, non vedo l’ ora di arrivare a sera per ungere abbondantemente i piedi e infilare quegli orrendi sandali che non piacciono a nessuno ma che mi danno grande sollievo.
Finalmente lunghi tratti fuori dalle strade e comunque oggi non c’è traffico. Alle 12 incrocio il cippo dei 100 e chiamo famiglia ed i soliti amici per condividere la mia soddisfazione, sento che un poco di loro è con me.
In effetti sono contento, e sono pure digiuno come
al solito, sto bevendo pochissimo ed è un errore che non posso permettermi,
domani mi riprometto di rimediare ma intanto anche oggi non si trovano
barettini o alimentari, pare che in questa zona ci siano solo paesi fantasma
abitati da operai agricoli e non esistano negozi.
Ho avuto un poco di incertezza negli ultimi 6/7
chilometri perché temevo che seguire le indicazioni del Caminho mi avrebbero
portato lontano dall’albergo e in condizioni di sole molto caldo, vento e
strada sterrata ero molto affaticato. Sono arrivato stremato, completamente
sulle gambe e si vedeva.
La camera alla “Casa
de Rainha” fa un po’ schifo ma il bagno, seppure microscopico, c’è e la
posizione è centrale nel paese.
Oggi per strada ho visto tre pellegrini in lontananza,
ognuno per proprio conto, altre tre signore abbigliate da pellegrine le ho
incrociate dall‘affittacamere ma non ci siamo detti alcunché, siamo tutti in là
con gli anni e con scarsa voglia di socializzare.
Stasera ho deciso di fare la spesa al vicino supermercato supereconomico e mangiare nella cucina comune di questa brutta struttura. Sono riuscito a spendere 13 euro di stupidaggini anche se qualcosa mi servirà domani, tipo un pezzo di formaggio da mangiare a morsi come un selvaggio perché non ho coltello.
Ho deciso di modificare le ultime due notti
portoghesi, una a Fatima e l’ultima a Lisbona, mi pare di averne vista anche un
po’ troppa di città fino ad oggi e anche questo è il bello di non dover rendere
conto a nessuno.
E adesso devo parlare della Feira de Maio de
Azambuja.
Nella passeggiata post cena guardavo con curiosità le staccionate posizionate lungo le strade, come un corral e non ne capivo il perché, così mi sono informato, meglio tardi che mai. Il Ribatejo è la regione portoghese dell’allevamento dei grandi bovini e Azambuja ne è un centro importante.
Ogni anno a maggio, quest’anno inizia fra pochi
giorni il 25 maggio, si svolge questa manifestazione molto sentita: è proprio come le nostre feste paesane, ma qui
il tema sono i bovini in generale, i cavalli e naturalmente i tori: messa,
sfilate, ballo, esibizioni, mostre di animali e corrida (da noi per fortuna
manca la corrida).
Il paese si sta preparando: cavalli, cavalieri, tori
e altri bovinidi più mansueti sfilano per vie del paese tutti agghindati e le
staccionate servono a mantenere compatta la processione, hai visto mai che una
mucca, o peggio un toro da una tonnellata si infili in casa di qualcuno.
A proposito della corrida portoghese detta tourada: differisce da quella spagnola ben
più conosciuta sostanzialmente per un elemento: il toro non viene matato (sta
per ucciso) nell’arena, ma dopo, con calma, dietro le quinte. Nell’arena i
toreador si limitano a torturare e insultare (?) l‘animale fino allo sfinimento,
risparmiando agli spettatori paganti lo spettacolo della morte in diretta. E’
perciò meno cruenta ? no, per nulla. E
mi taccio una volta per tutte sulla tauromachia portoghese.
Giornata per la quale non ho altro da aggiungere. Comunque Azambuja non è poi un brutto posto ed io sto prendendo troppo sole.
Un’altra delle mie pensate invernali: il percorso
originale per questo giorno prevedeva il tratto da Azambuja a Santarem per 33
chilometri di difficoltà media. Troppi per me che lavorando solo
sull’immaginazione e Google Maps ho inventato due tappe distinte: la prima da
Azambuja mi avrebbe portato a Cartaxo, quella che faccio oggi, la seconda da
Cartaxo a Azoja de Baixo, oltre Santarem, quella che farò domani.
Premetto che ho fatto una cazzata, ma al contempo
anche adesso che sono qui non saprei individuare una alternativa migliore se
non farsi un tappone lungo 33 km che solo adesso so essere nelle mie
possibilità, visto che comunque ne ho fatti 27!
Insomma oggi si tratta di due percorsi distinti: il
primo seguendo la rotta del Caminho fino a Morgado e il secondo lasciando la
strada maestra per deviare fino al paese di Cartaxo, 9 chilometri e mezzo fuori
rotta dal Caminho, del tutto gratuiti.
Come ho detto non è stata una grande pensata e lo sconsiglio vivamente. Oltretutto la strada alternativa da me individuata è la statale nr. 3 e percorrerla non è stato per niente bello, mi sono sembrati proprio chilometri e fatica sprecati.
E’ andata così, a volte si indovina altre si
sbaglia, bello è che non devo rendere
conto a nessuno, ma mi girano un po’ le palle.
E’ stata comunque una bella giornata piena di sole, belle strade e paesaggio e le gambe che cominciano a tirare come si deve. Il Tago in questo tratto è bellissimo e selvaggio e pare più pulito, si cammina fra distese infinite di campi di pomodori e aziende agricole tanto estese da avere piste di atterraggio per piccoli aerei da diporto.
Ma come si passa il tempo da soli ?
Stamattina ho fatto la prima registrazione, non
voglio perdere pensieri, impressioni passeggere per poterle recuperare a mente
fredda quando sarò meno stanco e meno
impegnato sulla strada
“Domenica 14, neanche tre chilometri da quando sono partito sotto il sole in mezzo a canneti e campi di pomodori e sono già stanco. Cosa sto facendo ? Cosa mi spinge a fare questo viaggio ? da dove viene questo desiderio irresistibile di verifica ? questa sfida che mi mette alla prova, una prova dura che in questo preciso momento mi fa rimpiangere di non essere a casa con la mia famiglia mentre ci prepariamo al pranzo domenicale, tutti insieme, verranno i ragazzi alla spicciolata e Monica avrà cucinato per tutti, ci sarà il piccolo Alessandro, la nonna e il gatto, staremo insieme a pranzo e poi tutti se ne andranno velocemente per godersi la loro domenica e noi resteremo a rimettere in ordine con calma e soddisfazione, un’altra occasione in cui stare tutti insieme. Mi dispiace di non essere con loro, oggi. Saudade come dicono qui, nostalgia.
Non lo so cosa ci faccio qui, fra questi canneti in
questa domenica di maggio; speravo che fosse un cammino di fede ma forse non lo è, e neppure è una
ricerca di fede. Non ho fatto una riflessione su Fatima, non mi sono informato,
non so quasi nulla sui pastorelli, sulle profezie, sulla storia del santuario o
sulla sua venerazione. Né so cosa farò una volta arrivato a Fatima.
Di sicuro non prego, in questi giorni non ho mai
pregato e non ne ho sentito la necessita. No, non è un viaggio di fede il mio
anche se è un paradosso che proprio la fede lo abbia a suo tempo ispirato.
Non so cosa mi fa andare avanti: forse la sfida per
dimostrare agli altri ma sopratutto a me stesso che ancora ce la posso fare
anche alla mia età, ma in effetti non ho mai fatto una cosa come questa e quindi non ci saranno termini di paragone.
Non potrò verificare se sono come prima,
piuttosto vedrò se sono diverso dal
prima se sono in grado di diventare diverso, affrontare le cose in maniera diversa iniziando proprio
da oggi e da questa strada.
Ogni anno, ogni periodo della vita che passa ci
propone qualcosa di nuovo, ci costringe al cambiamento e anche quando le cose
vanno bene è difficile vivere come si
viveva dieci anni prima, o anche cinque o tre anni prima, quando il nostro
corpo, la nostra mente cambiano e assorbono esperienze e amici e parenti lentamente a loro volta si trasformano.
L’ idea che mi sta venendo stamani mentre cammino sotto il sole è che forse in questo viaggio, come nel resto in quello che mi resta da vivere, devo avere pazienza, non dico fiducia, dico pazienza, può darsi che occorra tutta questa strada che ancora mi separa dalla fine per capire, per scorgere le motivazioni vere che mi spingono avanti, ma lo dico senza nessuna certezza o speranza, può darsi, in questo momento semplicemente non lo so. Non lo so.”
Quindi il tempo passa pensando, ma spesso neppure
penso, mi guardo in giro con curiosità e lascio andare le gambe facendo molta
attenzione a dove metto i piedi perché non voglio cadere o sbagliare strada.
Molto tempo lo passo canticchiando fra me, certe volte a voce alta, ripasso le canzoni degli anni 30 che sto studiando col mio maestro di musica, american swing, mi mettono allegria e mi fanno una compagnia incredibile. Di sicuro non mi annoio, sono fondamentalmente uno spirito solitario.
E alla fine eccomi a Cartaxo questa cittadina
piuttosto grande che col Caminho di Fatima non c’entra una beata mazza.
L’albergo Bathaloz House è pulito,
ma il bagno non è in camera ma in fondo al corridoio, dovrei andare in
giro in mutande e la cosa non mi piace per niente. La recensione risentirà
profondamente di questo malinteso anche se la ragazza che mi riceve è premurosa
e gentile.
E‘ domenica sera e tutto è chiuso. L’unico locale
aperto per cena è un self service di sushi, tutto compreso a 15 euro, e allora
ne approfitto per fare la mia prima esperienza sushiana.
Alla fine ho mangiato bene, mi sono saziato ed ho
sperimentato.
La notte invece è un casino! tre giornate di sole e
vento mi hanno ustionato braccia e gambe e non riesco a dormire. Alle due attraverso seminudo il
corridoio e vado in bagno a mettermi
sotto l’acqua fredda e spalmarmi dappertutto di crema per l’emorroidi che ho portato
con me per precauzione, tanto sempre di infiammazioni si tratta. Ma il sonno è
difficoltoso e riposare male dopo queste giornate non è bene.
Domattina assolutamente sarà necessario trovare una
farmacia.
Visto che sono sveglio mi metto ad esaminare il problema che mi si presenterà domattina quando dovrò pagare il dazio di altri 9 chilometri inutili per ricongiungermi al percorso originario, ma che stavolta non voglio assolutamente fare a piedi: autobus se esiste o taxi, visto che in paese ci sono.
Presa la decisione mi sento più tranquillo e mi
addormento
Mattina difficile dopo la solata di ieri pomeriggio,
non ho dormito bene, ma in genere non dormo bene in questo viaggio.
Stamattina alle sette mi sono svegliato con due
problemi da risolvere: il primo era
proteggere braccia e gambe ustionate, quindi ricerca di una Farmacia e
abbondante spalmatura di crema antiscottature specifica, oggi si viaggia
con pantaloni lunghi a camicia con
maniche abbassate. Fatto !
Il secondo problema era trovare il mezzo che mi
portasse fino al bivio con la strada poderale che a sua volta mi avrebbe
ricongiunto col cammino, il tragitto individuato questa notte.
Non si riesce a trovare un autobus in questo paese,
né indicazioni, o informazioni in merito, ho tentato anche con l’applicazione
Bolt ma dopo aver fatto tutti i passaggi corretti non dava alcun mezzo
disponibile in quel giorno per quella tratta (e ti credo). Per fortuna ci sono
i taxi, i benedetti taxi ed il buon tassista Djogo per 12 euro ben spesi mi ha
fatto risparmiare 10 chilometri di una strada incasinata piena di traffico in
una giornata di sole caldissimo, goduti invece
nel fresco dell’aria condizionata della macchina, e mi ha scaricato a
destinazione in pochi minuti. Fatta anche questa.
Oggi tre tracce gps per tre percorsi distinti.
La prima traccia va da Cartaxo al bivio Estrada do Peso, quei 10 bei
chilometrucci fatti sul taxi, la seconda a piedi dalla strada poderale di
connessione al Caminho nei pressi della pista di aviazione leggera e da qui
fino alla città di Santarem, sono poco più di 6 chilometri.
Infine terza traccia da Santarem a Azoja de Baixo
dopo poco più di 9 chilometri.
Molti chilometri su strade provinciali con asfalto e il traffico del lunedì, brutta tappa con saliscendi, “mangiaebevi” direbbe il mio amico Andrea, e la salita di Santarem che mi ha provato fisicamente (a me basta poco).
Nella bella città di Santarem il Caminho di Fatima prende la propria strada allontanandosi malinconicamente da quello per Santiago. Nella rotatoria principale si passa fra quegli alberi e la palazzina bianca della foto qui sotto. In giro si vede qualcuno acconciato come un pellegrino, ma vanno tutti inesorabilmente verso destra, verso la lontana Santiago e ho la certezza che anche quei rarissimi incontri avuti fino ad oggi per strada saranno un ricordo. Da ora in poi sarò veramente solo sul Caminho, sembra che nessuno vada a Fatima a piedi.
Dopo il cavalcavia sull’autostrada il paesaggio si fa più bello, superato il cippo dei 50 chilometri a Fatima Il percorso è ben segnalato e mi gusto il panorama senza timore di perdere la rotta.
Arrivo a Azoja molto presto, poco dopo le 15 come un
vero pellegrino, ma il fatto è che oggi ho percorso non molti chilometri, poco
più di 15 a piedi, ed il ritmo è diventato costante. Mi sono organizzato per
bere spesso: viaggio direttamente con una bottiglia d’acqua in mano che consumo
a piccoli sorsi frequenti. In effetti sento che il corpo è più idratato e si
viaggia meglio.
Ormai prendo con regolarità due Tachipirine al
giorno, integratori al Magnesio, Taurina e Glucosamina e bustina di Oki quando
serve per il doloretto ai piedi, insomma sono strafatto, ma vado come un
diesel.
Arrivato a Azoja resto un poco sconcertato. La
storia di questo fine tappa è questa:
Azoja de Baixo è un piccolissimo paese sul Caminho e
l‘unico fra Santarem e Fatima con un posto dove dormire: un ostello. Questo lo
sapevo già prima di partire, mesi fa, e sapevo che dormire in una camerata di
40 letti non mi sarebbe piaciuto, ci sarebbe anche nella stessa struttura un
appartamento grande dal costo di 110 euro ma mi pareva, e sarebbe stato, un
vero spreco di denaro.
Così ho fissato per tempo un letto in dormitorio alla modica cifra di 28 euro con molta riluttanza. Su mie richieste costanti mi hanno rassicurato già un paio di volte che sarei stato il solo ospite dell’ostello e questa magnifica notizia me la confermano anche adesso che sono davanti al portone, con una e.mail asettica con la quale mi dicono appunto che sarò solo, quali sono codici per entrare e come chiudere l’uscio alla partenza. Tutto per e.mail senza vedere nessuno perché in effetti …..non c’è nessuno ! Non c’è anima viva nell’ostello (benissimo) e non c’è anima viva in paese (malissimo). Paese fantasma. Ho girato in lungo e in largo per i vicoli di Azoja e sono rimasto basito: non c’è manco un cane, o quasi, un vecchierello mi dice che l’unica trattoria è “fechada la segunda feira” ovvero chiuso il lunedì, e oggi è appunto lunedì. Non esistono bar né alimentari, spacci, bazar, chioschi o bancarelle.
Tenendo conto che in tutto il giorno ho mangiato
solamente una banana e due arance mi si prospetta una giornata di digiuno. Mi
prende l’ansia da fame, devo fare qualcosa.
Ma intanto esploriamo il temutissimo ostello.
La struttura è bianca, grande, esageratamente vuota
e quindi deduco che posso fare come mi pare. Così la giro tutta: dormitorio,
cucina e refettorio, magazzino, lavanderia, locali dello staff e anche gli
appartamenti che sono due e sono aperti, uno ha ancora i letti disfatti ma anche una comoda poltrona sulla quale mi
svacco a riposare. La camerata ha una quarantina di letti a castelli di tre,
tutti disfatti ad eccezione del primo in basso appena all’ingresso, deduco che
sia il mio posto. Le docce sono sporche e nel water non si può gettare la carta
igienica che va depositata in un cestino a parte, quindi avremo un cestino
pieno di merda nel bagno vicino a dove dormirò. Ottimo ! Penso che mi
converrebbe andare a cacare in uno degli appartamenti ma mentre sto elaborando la
cosa compare un tizio dal nulla, un inserviente non parlante, che chiude a
chiave gli appartamenti e gli altri locali, raccoglie un po’ di immondizia
sparsa, ma solo un po’, e se ne torna
nel nulla. Riesco solo tramite gesti inequivocabili a farmi dare la carta
igienica che vedevo pericolosamente scarsa.
Comunque me la godo da solo, questa qui sotto è la foto della camerata: il mio letto sta subito dopo la porta di sinistra, i bagni sono accanto. I maschi sono opportunamente divisi dalle femmine perché i primi entrano dalla porta di sinistra e le altre da quelle di destra. Fa niente se lo stanzone all’interno è tutt’uno.
Rimesso in sesto con doccia riparto alla ricerca di cibo. Gira di sopra e gira di sotto nelle stradine del minuscolo paese trovo sottostrada un locale buio, una specie di baretto: “Traz do Jogo – Vinhos e petiscos” recita la piccola insegna rustica. Il locale è buio, vuoto e povero. Dal nulla compare una signora di una certa età vestita di nero che sarebbe la barista che abita al piano di sopra e scende in bottega quando vede arrivare qualcuno e a quest’ora di pomeriggio evidentemente non aspetta nessuno.
Non è cordiale e neanche ciarliera. Prendo una birra
per farmela amica e a questo punto parte una pantomima, una piccola recita che
io interpreto in porto-iberico-anglo-italiano e lei risponde solo con i cenni
della testa: no, no e no.
Io chiedo se si può mangiare questa sera in questo
localino accogliente? Risponde scuotendo la testa: “No !”
Si può avere qualcosa di petiscos ? tipo panino,
frittatina, hamburger, baccalà alla livornese, tonno in scatola ? Lei risponde
scuotendo il capoccione: “No !”
Ma è proprio sicura ? vede, io sono un pellegrino
pedestre, pedante, pedissequo, non ho
niente con me, solo lo zaino che ho a casa anzi nell’ostello del vostro ridente
villaggio e….. Lei risponde: “ Nein !“
Ma posso pagare sa, non sono ricco ma ho i miei bei
euro da spendere, vede ho appena ordinato una birra e l’ho subito pagata, in
contanti. Lei irremovibile: “Niet !”
Signora, maledetta puttana (questo l’ho solo
pensato), ma non ha un cazzo in questa
bottega ? Lei allarga le braccia.
Basterebbe un
po’ di pane …… Ella fa cenno accondiscendente, che vuol dire “si potrebbe fare,
se proprio insiste…”
E un poco di formaggio ? aggiungo io incontentabile.
E lei miracolosamente muove la capoccia su e giu. Evviva, pane e formaggio si può fare.
E magari un pochino di prosciutto, jambon, presunto,
mortadella o come si dice insisto io ? e
lei scuote di nuovo la testolina: “Noneeee ! , solo pane e formaggio “
Grazie signora, tegame malefico, verrò alle otto mia
salvatrice, donna della provvidenza, baldracca, ti amo alla predizione, va bene
? “Si !” fa lei, va bene.
Fine del primo atto.
In attesa del secondo atto, che sarebbe la cena alle
otto, ho immaginato che in un paesino di cento abitanti a esagerare, sperduto
tra le colline portoghesi se capita un pellegrino straniero a piedi che si reca
a Fatima per devozione si dovrebbe fare festa e l’ostessa quando dice pane e
formaggio intenda come minimo una coppia di pane appositamente cotto nel forno
di casa e una moltitudine di formaggi
spremuti dalle pecore locali ai quali magari si aggiungano due pomodori, un
cetriolo e insalata a volontà e magari due ova sode che non guastano mai.
Così alle otto spaccate parto per il secondo atto e
mi reco pieno di aspettative e di fame al Traz do Jogo dove sostano nel buio
tre avventori abbrutiti dalla fatica che bevono birra e vino in silenzio e la
signora, sempre in silenzio, mi presenta numero uno miserrimo panino e tre o quattro sottilette !
Tutto qui ! Ho provato a chiedere il bis ma non c’è
stato niente da fare. E ho pure pagato 8 euro.
In sintesi questa è la differenza fra il cammino di
Santiago e quello di Fatima. Fanculo a questo paese di merda.
In camerata la porta a vetri dista due metri dal mio letto e mi inonderà di luce all’alba perciò sarà meglio andare a dormire presto. Non c’è campo per il telefono, quindi non c’è internet per avere una distrazione, mi infilo nel letto appena fatto buio dopo essermi cosparso di unguenti atti alla sopravvivenza e tutto sommato ho ancora buone sensazioni, sarà la fame ?